Biden sostenuto fino all’ultimo dalla maggioranza del suo partito
Per tre anni abbiamo visto e testimoniato i problemi fisici e mentali del Presidente Joe Biden, e per tre anni tutta la leadership dem lo ha sostenuto, negando quanto era evidente: perdita di memoria, confusione mentale, crollo psicofisico generalizzato. In questi anni di presidenza, i Dem hanno sempre fatto quadrato intorno al presidente con la complicità delle più importanti testate giornalistiche del Paese, puntualmente riprese da quelle internazionali, vicine politicamente. Le primarie del partito iniziate a gennaio scorso sono state un plebiscito a favore di Biden, come se fosse in assoluto il miglior candidato per le presidenziali. Tutti a spellarsi le mani nell’applaudire una “vittoria bulgara”, considerato che in molti stati Biden era l’unico candidato presente in lista.
Si è andati avanti cosi, senza vergogna per le gaffe presidenziali che ridicolizzavano non solo il protagonista, ma tutto il paese. La stessa vicepresidente Harris giurava sulla integrità fisico mentale del suo capo.
Solo da qualche settimana si sono sollevati pubblicamente i dubbi sulle capacità cognitive dell’inquilino della Casa Bianca, e ufficialmente soltanto 31 deputati e 4 senatori democratici hanno chiesto a Biden il suo ritiro. Un numero esiguo,considerato che il partito democratico conta 213 deputati e 50 senatori. Biden, smentendo le spaccature del partito ha continuato fino a 48 ore fa, imperterrito, a promettere ai suoi elettori che sarebbe rimasto nello studio ovale per prossimi quattro anni. Ma poi all’improvviso…
Biden si ritira…all’improvviso
… ma poi all’improvviso, come un fulmine a ciel sereno, Biden cambia idea e con un comunicato affidato ai social annuncia la sua decisione: “Mi ritiro per il bene del Paese”. Quindi, Biden difende il Paese da sé stesso? Allora ci chiediamo: ” Con quale consapevolezza il presidente è arrivato a questa decisione e quali sono state le trattative tra la famiglia Biden e l’establishment del partito?
Due domande a cui se ne aggiungono altre, finora senza risposte. Gli esperti e la gente comune stanno in queste ore ad arrovellarsi il cervello nel trovare una spiegazione degna di logica. In mancanza, avanzano le ipotesi. La più popolare, crediamo tutt’altro che azzardata, è quella che Biden sia stato spinto, o meglio costretto al ritiro, dall’élite del partito più che dalla sua base.
La teoria complottista
Il dietro le quinte dello studio ovale potrebbe celare, secondo alcuni, un complotto contro Biden, “cocciuto presidente che vuole rimanere”. La teoria – che più si avvicinerebbe alla verità – vede protagonisti i nomi eccellenti dell’establishment Dem.
Barack Obama, Nancy Pelosi, Chuck Schumer, e il resto della commissione del partito Democratico potrebbero aver fatto a Joe Biden un’offerta che non poteva rifiutare.
Per i capi, palesi ed oscuri del partito democratico, porre fine alla carriera politica di Biden potrebbe essere stato un processo in tre fasi, iniziato con la richiesta al presidente di lasciare, seguito poi dal consiglio di mollare, ed infine con la minaccia di distruggerlo.
Quindi, secondo questa ipotesi, crediamo la più accreditata, Biden avrebbe dovuto, già da tempo “altruisticamente mettere da parte i propri interessi per il miglioramento del partito e del paese”, e ritirarsi, chiudendo la sua carriera politica con onore. Rifiutandosi, e qui ci sarebbe la minaccia, il nastro umiliante della sua intervista con il consigliere speciale Robert Hur sarebbe stato utilizzato, il figlio Hunter avrebbe rischiato la galera e lo stesso Biden sarebbe stato rimosso in base al 25º Emendamento della Costituzione.
Quindi, secondo questa ipotesi, Biden sarebbe arrivato alla sua decisione di uscire con l’onore delle armi del suo partito.
Biden svanito nel nulla
Se il ritiro del presiedente dalla corsa alla Casa Bianca è sembrato un fulmine a ciel sereno, altrettanto inspiegabile è la scelta della comunicazione.
Biden si è rivolto al Paese e ai suoi elettori con una lettera pubblicata sui social. Il presidente degli Stati Uniti se ne va ma non si vede, non va in tv ad annunciare il ritiro, non fa circolare un video, insomma non ci mette la faccia. Il capo della più grande democrazia dell’Occidente è latitante in un momento così importante. Nella sua ipotetica lettera annuncia: “Spiegherò i motivi la settimana prossima”, come se dovesse ancora pensarci su.
A questo punto si impone più forte il dubbio: “Siamo certi che Biden si sia volontariamente ritirato?” C’è infatti chi insinua che la lettera possa essere stata messa in circolazione senza il suo consenso di Biden, a causa del suo perdurante rifiuto al ritiro.
Non è chiaro il perché
La lettera di Biden non spiega le ragioni del suo ritiro, e anche i dem che, nei giorni scorsi, gli hanno chiesto di lasciare non spiegano se la decisione è dovuta al preoccupante stato di salute e alla pessima performance al dibattito con Trump o a causa dei sondaggi che lo danno sconfitto. Ma potrebbero esserci anche altri motivi.
Se il ritiro fosse legato alla salute, non si spiega perché non fare dimettere Biden dalla Presidenza, seguendo i dettami del 25º emendamento.
Se il fattore scatenante fossero invece i sondaggi, allora saremmo di fronte ad uno strano modo di gestire il metodo democratico nel partito, che si dice tale. Biden è stato scelto dalla base, pertanto a prescindere dai sondaggi, dovrebbe rimanere il candidato dem contro Trump.
L’élite del partito vuole Harris
Nelle primarie, 14 milioni di dem hanno votato Biden, il nome della Harris non è mai apparso nelle schede elettorali, ma nonostante tutto i leaders del partito la vogliono imporre, mettendo da parte i candidati che si sono presentati alle primarie e anche quelli che oggi vorrebbero candidarsi a nuove primarie. In questa scelta – che molti non comprendono – in realtà c’è una logica. Ci sono in ballo oltre 95 milioni di dollari raccolti per la campagna elettorale di Biden, fondi che solo la sua vice potrà utilizzare. Quindi i principi della democrazia si sciolgono come neve al sole di fronte alla necessità di non perdere un gruzzolo così importante.
Kamala Harris passerà sotto le forche caudine il 19 luglio, quando alla open convention i delegati voteranno. Un appuntamento atteso per comprendere quali sono i processi all’interno del partito dell’asinello. Gli americani si aspettano che i Dem dimostrino quali sono le dinamiche interne e se compatibili col processo democratico e trasparente.