Ponte Morandi: che potesse crollare era noto 8 anni prima della tragedia
Il crollo del Ponte Morandi, avvenuto il 14 agosto del 2018, rappresenta uno spartiacque nella storia dell’Italia recente. Indifferenza, imperizia e avidità “sapientemente” mescolate hanno presentato il loro drammatico conto: 43 vittime e 11 feriti, oltre a centinaia di sfollati. Da quel momento in molti hanno compreso la necessità che fosse lo Stato a occuparsi dei settori strategici. Il comportamento dell’impero Benetton, attraverso la holding Edizione, ha infatti spazzato via le retoriche sull’efficienza dei colossi privati. Neanche una miniera d’oro come le autostrade italiane ha convinto chi operava in regime di monopolio della necessità di prevenire collassi strutturali e le conseguenti tragedie. Le dichiarazioni rese ieri da Gianni Mion, braccio destro della famiglia Benetton e allora amministratore delegato di Edizione S.p.A., tuttavia, lasciano ugualmente sgomenti per la loro gravità.
Le rivelazioni dell’ex ad
“Emerse che il ponte aveva un difetto originario di progettazione e che era a rischio crollo – ha dichiarato ieri Mion – Chiesi se ci fosse qualcuno che certificasse la sicurezza e Riccardo Mollo mi rispose ‘ce la autocertifichiamo’. Non dissi nulla e mi preoccupai. Era semplice: o si chiudeva o te lo certificava un esterno. Non ho fatto nulla, ed è il mio grande rammarico”. Riccardo Mollo era il Direttore Generale di Aspi (Autostrade per l’Italia), la società per azioni controllata all’epoca da Atlantia S.p.A (diventata Mundys lo scorso marzo), questa, a sua volta, detenuta da Sintonia S.p.A., totalmente di proprietà della sopramenzionata holding Edizione.
Mion fa riferimento a una riunione del settembre 2010 in cui erano presenti Giovanni Castellucci (amministratore delegato di Aspi), lo stesso Riccardo Mollo, Gilberto Benetton (la figura di spicco della famiglia), il collegio sindacale di Atlantia e il personale di Spea Engineering S.p.A. (Società Progettazioni Edili Autostradali, soggetto che avrebbe dovuto controllare Autostrade per l’Italia). Proprio il legame tra Aspi e Spea è stato criticato da Mion: “Fu fatto un errore da parte di Aspi quando acquistò Spea, la società doveva stare in ambito Anas o del ministero, doveva rimanere pubblica. Il controllore non poteva essere del controllato”. Affermazioni molto eloquenti sul circolo vizioso che si era andato a instaurare. Fortunatamente Aspi è stata poi rilevata da una cordata guidata da Cassa Depositi e Prestiti, facendo tornare questo prezioso asset in mano pubblica.
Ponte Morandi, le proteste dei familiari delle vittime
Inevitabile che le dichiarazioni di Mion provocassero proteste da parte di cittadini e familiari delle vittime. Egle Possetti, presidente del Comitato Parenti Vittime del Ponte Morandi, ha commentato: “Mi chiedo come si possa stare zitti quando si hanno tra le mani informazioni di gravità come questa e come certe persone possano dormire sonni tranquilli”. Possetti ha poi aggiunto: “Se fossi stata al suo posto e avessi saputo lo stato delle infrastrutture non sarei stata zitta e avrei fatto il diavolo a quattro e avrei anche fatto in modo che il problema emergesse. Speriamo che qualcuno paghi”.
Quanto il rapporto tra Aspi e Spea Engineering abbia compromesso la sicurezza dei viaggiatori emerge chiaramente dai report stilati negli anni successivi al crollo dell’agosto 2018. Gli indici di rischio sulle infrastrutture sono lievitati in pochi mesi, in alcuni casi quadruplicando, come denunciato dal nuovo ad di Autostrade per l’Italia, Riccardo Tomasi. Ciò a dimostrazione di una scientifica sottovalutazione dei rischi, con lauti dividendi fatti sulla pelle dei nostri connazionali.