Alla fine, ha ceduto. In serata Gennaro Sangiuliano si è dimesso dalla carica di ministro della Cultura, travolto dalla vicenda dell’impropria relazione “professionale” con l’influencer pompeiana Maria Rosaria Boccia.
Un atto dovuto, dopo giorni di stillicidio, che il titolare del dicastero di Via del Collegio Romano ha prima respinto e poi maldestramente rinviato, nella migliore tradizione italiana dove il nobile istituto delle dimissioni, soprattutto in politica, è regolarmente ignorato. Tuttavia, procrastinare l’addio sarebbe stato oltremodo dannoso per il governo, alle prese con questioni di carattere interno e internazionale piuttosto delicate.
Intanto, dopo giorni sulla cresta dell’onda e con mezzo governo appeso alle sue storie su Instagram, occorre capire se Maria Rosaria Boccia, arrivata a 105mila follower sul social, continuerà a rivelare spezzoni della sua verità capitalizzando l’improvvisa fama.
Al Tg1, Sangiuliano ha tentato il tutto per tutto cercando di difendere la propria posizione e il proprio comportamento, in alcuni momenti è sembrato che la pezza fosse davvero peggio del buco, considerando che aveva scomodato per l’intervista il direttore in persona occupando la rete ammiraglia del servizio pubblico per ben quindici minuti.
“Non un soldo dei contribuenti è stato speso per le necessità della dottoressa Boccia, chiedo scusa a mia moglie e a Giorgia Meloni”. Ma è evidente che, al di là di qualche plausibile macchinazione, l’ex ministro abbia gestito molto male la situazione facendosi travolgere dalla campagna mediatica e dall’infatuazione per la Boccia.
Nella lettera di commiato che ha inviato alla presidente del Consiglio, Sangiuliano rivendica la bontà del suo lavoro elencandone i punti più qualificanti: “Come hai ricordato di recente, stiamo facendo grandi cose, e lo dico come comunità politica e umana alla quale mi sento di appartenere. Sono fiero dei risultati raggiunti sulle politiche culturali in questi quasi due anni di governo. A partire dall’aver messo fine alla vergogna tutta italiana dei musei e dei siti culturali chiusi durante i periodi di ferie, aver incrementato in appena un anno il numero dei visitatori dei musei (più 22 per cento) e gli incassi degli stessi (più 33 per cento)”.
“A dicembre – ha continuato Sangiuliano – a Milano aprirà Palazzo Citterio acquistato dal ministero nei primi anni Settanta e poi rimasto inutilizzato per decenni. Sono ben avviati grandi progetti come l’ex Albergo dei Poveri di Napoli, l’ampliamento degli Uffizi in altre sedi e l’investimento per la Biennale di Venezia. Per la prima volta in Italia sono state organizzate grandi mostre su autori e personaggi storici che la sinistra aveva ignorato per ragioni ideologiche. Sono consapevole, inoltre, di aver toccato un nervo sensibile e di essermi attirato molte inimicizie avendo scelto di rivedere il sistema dei contributi al cinema ricercando più efficienza e meno sprechi. Questo lavoro non può essere macchiato e soprattutto fermato da questioni di gossip”.
Immediato il ringraziamento del presidente del Consiglio: “Ringrazio sinceramente Gennaro Sangiuliano, una persona capace e un uomo onesto, per lo straordinario lavoro svolto finora, che ha permesso al governo italiano di conseguire importanti risultati di rilancio e valorizzazione del grande patrimonio culturale italiano, anche fuori dai confini nazionali”.
A quello delle Meloni sono seguiti i saluti del senatore di Fratelli d’Italia Paolo Marcheschi, capogruppo FdI in Commissione Cultura a Palazzo Madama. “Le dimissioni di Gennaro Sangiuliano rappresentano l’epilogo di una vicenda personale trasformata in un caso politico dietro la spinta di un’opposizione aggrappata al gossip. Dispiace che per mettere in difficoltà il governo Meloni si utilizzino argomenti estranei alla politica che, nel caso del Ministro Sangiuliano, ha portato ottimi risultati per il Paese. Adesso Sangiuliano, che è stato un ottimo ministro alla Cultura e che è persona seria e onesta, potrà difendersi nelle opportune sedi da accuse che non hanno rilevanza penale né giuridica. A lui va il nostro più sentito grazie per quanto ha fatto con coraggio e determinazione per l’Italia in questi due anni e contestualmente diamo il benvenuto ad Alessandro Giuli, persona capace e intraprendente, augurandogli buon lavoro”.
Il nuovo ministro della Cultura è infatti Alessandro Giuli, fedelissimo della Meloni e attuale presidente della Fondazione MAXXI. Una curiosità: in un vecchio libro Il passo delle oche. L’identità irrisolta dei postfascisti (Einaudi, 2007), il neo ministro polemizzava contro la classe dirigente di Alleanza Nazionale. Un saggio senza sconti, non privo di ironia, fin dal titolo. La premier, all’epoca 29enne, era leader di Azione Giovani e vicepresidente della Camera. Enfant prodige della destra finiana, era altresì definita “arrembante” da Giuli. Ma nel testo non mancavano bordate. Meloni, agli occhi dell’autore, pagava infatti la vicinanza a Fini.
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