Le innovazioni tecnologiche rapidissime hanno messo nelle mani di giovani e meno giovani dispositivi tutt’altro che innocui. Il discorso riguarda gli smartphone e internet in generale, ma osservati speciali, inevitabilmente, rimangono i social network. Questi hanno infatti esposto i ragazzi a molteplici insidie. Dai deficit d’attenzione fino ai disturbi alimentari, passando per la proliferazione di contenuti violenti o pedopornografici, i minori hanno avuto accesso ai dispositivi mobili e ai social senza un’adeguata alfabetizzazione digitale.
La rete, banalmente, è ormai troppo vasta per assicurare tutele adeguate. Ecco perché molti Stati stanno prendendo provvedimenti. La Florida, in tal senso, è stata una delle apripista. Il Sunshine State ha infatti proibito l’accesso ai social ai ragazzi sotto i 14 anni. Tra i 15 e i 16, invece, ha introdotto l’obbligo per i genitori di fornire il proprio consenso. Inizialmente il provvedimento doveva essere ancor più restrittivo, impedendo l’uso dei social fino ai 17 anni.
L’Australia sta percorrendo la medesima strada. Come la Florida, anche il Paese oceanico è guidato da un italo-discendente: Anthony Albanese (il padre era di Barletta).
Canberra sta discutendo una legge per porre un limite d’età. Anche in questo caso esso oscillerebbe tra i 14 e i 16 anni. Albanese appartiene al Partito Laburista ma l’iniziativa ha avuto l’appoggio del leader del Partito Liberale d’Australia, Peter Dutton.
Nelle ultime ore diversi sono stati i post sul tema pubblicati dal primo ministro australiano. “I genitori mi dicono che sono preoccupati – ha infatti scritto Albanese sul proprio profilo X – Introdurremo una legislazione in questa legislatura del Parlamento per imporre un’età minima per i social media e altre piattaforme digitali. Si tratta di sostenere i genitori e proteggere i bambini”.
“Voglio che i bambini abbiano un’infanzia e che i genitori siano tranquilli” ha scritto in un altro post. L’augurio del primo ministro, al quale non possiamo che accodarci, è che i bambini poggino il proprio smartphone e si dirigano “ai campi da calcio”. A riprova che il buon senso non ha colore politico.
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