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Home Editoriale

Il vuoto politico e il labile diritto alla parola: dove va l’America?

Il clima di odio ha inquinato il dibattito democratico e la campagna elettorale fatta di slogan non piace agli americani.


Enza Michienzi by Enza Michienzi
Ottobre 6, 2024
in Editoriale, Politica, Ultimissime
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Harris Trump
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Le campagne elettorali americane sono state sempre caratterizzate da un misto di show e politica. Gli incontri elettorali erano anche una festa per i sostenitori del candidato alla Casa Bianca. Partecipavano famiglie con a seguito bambini, erano eventi durante i quali non mancavano di certo cibo, birra, gadget, e folklore. Un quadro festoso che sembra oggi essere un ricordo lontano.

Il clima di crescente odio, che la sinistra dal 2016 ha alimentato contro Trump e i suoi supporters, ha dato risultati spaventosi e messo a rischio il concetto di democrazia. Un veleno potente nel dibattito democratico che ha armato la mano di due folli e ha sdoganato inaccettabili aggressioni verbali a chi dissente dal pensiero unico. È una campagna elettorale presidenziale, questa del 2024, che si fa sempre più agguerrita e pericolosa. I due attentati alla vita di Trump spaventano, soprattutto chi sostiene il candidato repubblicano, mentre nel vuoto politico si fa sempre più labile la libertà di parola e di stampa garantita dal primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti.

La deriva personalistica e la sete di potere hanno portato allo svilimento della politica, un vuoto che incombe sugli Stati Uniti come un buco nero. Il sentimento dominante tra gli americani è lo smarrimento; tutto, e troppo, è accaduto in questi ultimi anni. Un presidente con evidenti deficit cognitivi ha raccontato al mondo cosa stava accanto al suo Paese con una serie infinita di gaffe, e poi all’improvviso la quasi sconosciuta vicepresidente è stata catapultata nell’agone della campagna elettorale, con un battage mediatico che fa un baffo al più eccellente illusionista esistente. Di chi èla regia di questo indegno spettacolo? Ci avviamo alla fine di una competizione elettorale fatta di poca politica, molte parole ad effetto e lo show dei vip del dorato mondo dello spettacolo che hanno osannato la divina Harris, come la salvatrice del mondo (forse il loro mondo, quello fatto di luci e palcoscenici).

E cosi tutto scorre. Non un rigurgito dalle grandi testate giornalistiche per la scelta del partito Democratico di lasciare nello studio ovale Joe Biden, ritenuto inabile a portare avanti la campagna elettorale per il secondo mandato, ma tuttavia capace di svolgere le funzioni di Commander in Chief mentre scorre il sangue in Medio Oriente e in Ucraina.

Dove sta andando l’America, qui prodest?  In questo clima rovente, arrivano fortunatamente alcuni significativi segnali di dissenso. L’altolà ai due candidati giunge direttamente dai primi due più importanti sindacati del Paese. È di due gironi fa la notizia che il secondo importante sindacato americano, l’IAFFS (Vigili del fuoco e soccorritori), ha preso le distanze da entrambi i candidati. Il sindacato, che rappresenta più di 300.000 vigili del fuoco e soccorritori in tutti gli Stati Uniti, ha pubblicamente dichiarato che non intende appoggiare né l’ex presidente Donald Trump né la vicepresidente Kamala Harris.

Il presidente generale dell’IAFF, Edward Kelly, ha postato su X una sua  dichiarazione mettendo nero su bianco. Un affronto per il partito Democratico che solo quattro anni fa, invece, riceveva da questa organizzazione di lavoratori un importante endorsement per il proprio candidato, Joe Biden.

Una uscita dalla scena politica giustificata dal presidente, che diplomaticamente ha fatto osservare che l’impegno gravoso dei lavoratori del settore nel salvare vite umane e difendere il loro lavoro, non consente appartenenze o schieramenti politici.  E non sono bastati gli incontri che i massimi dirigenti sindacali hanno avuto anche  con i candidati alla vicepresidenza, il senatore JD Vance (Repubblicano dello Stato dell’Ohio) e il governatore Dem del Minnesota Tim Walz, intervenuti ad agosto durante la convention annuale del sindacato a Boston, nel Massachusetts, per presentare il loro programma politico per i vigili del fuoco.

Nessun endorsement neanche dall’International Brotherhood of Teamsters, il sindacato storico americano, che conta 1,4 milioni di membri attivi e 500.000 pensionati negli Stati Uniti e in Canada. Nel sito si legge testualmente “La nostra missione come rappresentanti sindacali è chiara: essere onesti e sinceri, inclusivi e, soprattutto, trasparenti con i nostri membri. Essendo il sindacato più forte e democratico d’America, era vitale per i nostri membri guidare questo processo di approvazione. Incoraggiamo vivamente tutti i nostri membri a votare alle prossime elezioni e a rimanere impegnati nel processo politico. Ma quest’anno, nessun candidato alla presidenza ha ottenuto l’approvazione del sindacato internazionale dei camionisti”.

Una bella batosta per entrambi i candidati, ma soprattutto per Kamala Harris che oltre a scontare la sua assenza durante il mandato di vicepresidente, è ritenuta reticente su alcuni temi dell’agenda politica. Difatti il presidente generale di Teamsters, Sean O’Brien, ha dichiarato un mese fa che nessuno dei due principali candidati è stato in grado di assumere “impegni seri” con il sindacato per “garantire che gli interessi dei lavoratori siano sempre messi davanti alle grandi imprese”.

Le reazioni dei due contendenti allo studio ovale sono state diametralmente opposte, lo staff della  campagna di Harris non ha ancora commentato la decisione della IAFF, mentre il team della campagna di Trump ha definito la scelta dei sindacati un ennesimo colpo a Kamala Harris e Tim Walz.

Intanto i sondaggi rilevano un testa a testa tra i due candidati. Dopo l’exploit iniziale della vicepresidente Harris che guadagnava all’ufficializzazione della sua candidatura quattro punti percentuali su Trump, le previsioni di vittoria per trump o Harris ritornano ad essere sensibilmente variabili. Il voto degli indecisi e dei milioni di americani che vivono nelle zone rurali faranno differenza. Intanto Il clima di odio che si respira e la mancanza di rispetto delle Istituzioni fanno crescere la generale preoccupazione che dopo il 5 novembre, comunque vada, gli Stati Uniti potrebbero essere interessanti a violente proteste di piazza e pericolose manifestazioni, come accaduto nel 2026 con l’elezione di Trump, e nel 2020 con la vittoria di Biden.

Sarebbe auspicabile che i due candidati facessero un appello al Paese affinché si ritorni al rispetto del voto popolare democratico, scevro dall’aggressività e dall’arroganza dell’attestazione del proprio pensiero. Questo  può sembrare banale ma racchiude l’essenza della vita democratica in un Paese che esporta la democrazia.


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