In una conversazione telefonica tenutasi lo scorso fine settimana, Claudia Sheinbaum, presidente del Messico, ha annunciato che lei e il presidente statunitense Donald Trump si sono accordati per prorogare di diverse settimane il termine fissato per lo sblocco di un’intesa commerciale, evitando così l’entrata in vigore dei dazi previsti per il 1° novembre.
La tensione nasce dall’imposizione statunitense di aumentare dal 25% al 30% i dazi su numerosi prodotti messicani non tutelati nell’ambito dell’United States–Mexico–Canada Agreement (USMCA). La mossa era motivata da Washington anche con riferimento alle barriere commerciali non tariffarie ancora in fase di negoziazione e ai flussi di fentanyl, secondo le dichiarazioni di Trump e delle Autorità statunitensi.
Sheinbaum ha precisato che nel corso del colloquio è stato concordato di concedersi ancora “alcune settimane” per risolvere le 54 questioni rappresentate dalle barriere non tariffarie che restano in sospeso. A fronte di questo accordo, il rischio immediato di un innalzamento delle tariffe il 1° novembre è stato evitato, provocando un leggero rafforzamento del peso messicano sul dollaro statunitense.
Il negoziato assume particolare rilievo visto che, oltre alle questioni commerciali e ai rapporti politici con il Canada e il Messico, esso si innesta nella rivalutazione dell’accordo USMCA, in scadenza a revisione nel 2026. La vulnerabilità del tessuto industriale messicano, fortemente integrato con quello statunitense, rende ogni minaccia tariffaria un potenziale fattore di instabilità economica.
Le imprese degli Stati Uniti hanno già reagito: l’incertezza tariffaria comporta un raffreddamento degli investimenti, mentre il commercio tra Messico e USA rischia di rallentare se non si arriverà a una soluzione. Da parte sua, Sheinbaum ha ribadito l’impegno messicano a collaborare in modo costruttivo, definendo lo scambio con gli USA “in fase di chiusura”.
Se le prossime settimane dovessero confermare l’intesa, l’attenzione si sposterà su due fronti: la definizione di un accordo più stabile e articolato tra Washington e Città del Messico, nonché le ripercussioni sul complesso scacchiere nord‑americano, dove anche il Canada è sotto pressione sul dossier dazi.





