di Carmen Marinacci
È finalmente approdata su Netflix, in contemporanea mondiale, la terza stagione di The Diplomat, la serie ideata da Debora Cahn, carica di intrighi politici internazionali e drammi personali.
Se pensavate che le ultime due stagioni vi avessero tenuti incollati allo schermo, perchè avvincenti, preparatevi a una nuova ondata di conflitti esistenziali e di Stato, tattiche diplomatiche e di coppia e colpi di scena che cambieranno le sorti di intere Nazioni e dei relativi governi.
Ma prima di immergerci in questa nuova attesissima ondata di adrenalina, torniamo a quando tutto ha avuto inizio.
Una diplomatica fuori dagli schemi
L‘ambasciatrice americana Kate Wyler (Keri Russell) non indossa tailleur e tacchi alti, troppo scomodi per muoversi nei cunicoli di politiche spesso senza via di fuga. Per lei quel ruolo significa scendere in campo e sporcarsi le mani. È in attesa di ricevere l’agognato incarico a Kabul, ma viene spedita nella “regale” Ambasciata a Londra. L’abbinamento non è dei migliori. L’aplomb e il self control britannico stonano con il suo stile underground. Ma, anche in questa calma apparente, dentro l’armadio si nascondono tanti scheletri.
Non appena veste i suoi nuovi – per lei stretti – panni, Kate si ritrova subito a dover gestire crisi diplomatiche internazionali, appesantite dal matrimonio difficile con Hal (Rufus Sewell), lui stesso stimato e arguto ambasciatore, momentaneamente senza incarico. Tra i due si verifica uno scambio di ruoli. Adesso è Kate sotto i riflettori e lui solo una comparsa. Ma Hal non riesce a stare dietro le quinte, e come un ghostwriter corregge nell’ombra il copione politico e matrimoniale.
Nella prima stagione Kate, appena approda in terra inglese, sarà la testimone indiretta di un inaspettato quanto deflagrante evento. Quando una portaerei britannica viene fatta esplodere nel Golfo Persico, il primo ministro inglese Nicol Trowbridge (Rory Kinnear) punta il dito su antiche inimicizie geopolitiche. Prima l’Iran, poi la Russia.
Ma sarà proprio la nuova arrivata a spostare l’obiettivo e inquadrare il vero nemico, più vicino di quanto si possa immaginare.
Altro giro…
Nella seconda stagione, il circo dei potenti non cambia. Ma la barra del trapezista diventerà sempre più sottile.
Kate e il suo “complice” (in tutti i sensi) Austin Dennison (David Gyasi), per tenere in piedi lo spettacolo, saranno costretti a stringere mani sporche e sfoggiare sorrisi convenienti pur di giungere alla verità, consapevoli della sua scomodità. Tutto diventa più fragile: la fiducia, l’alleanza, l’amicizia, l’amore. A rincarare la dose sono gli oramai sempre più tesi rapporti tra i due Paesi che parlano la stessa lingua, frutto dalle scelte megalomani di Trowbridge e della potenza “ingombrante” degli Stati Uniti.
Il vortice globale è la gigantografia di un tumulto personale. Ognuno dovrà districarsi tra frizioni di coppia, empatie silenziose, cortocircuiti emozionali, senza mai poter alzare bandiera bianca. Ogni episodio è una rivoluzione. Ogni scena ribalta lo status quo.
… Altra corsa
Squadra che vince non si cambia. In questa nuova stagione i protagonisti torneranno sul palco di un tipico teatro shakespeariano, dove gli abbracci nascondono coltelli, la parola d’onore non ha valore e la quiete è solo un trucco.
Il ruolo di Kate potrebbe vivere una metamorfosi, fino a portarla ai piani alti della Casa Bianca. Ciò implicherà accuse infamanti, scandali che distruggono vite e carriere, sedie che saltano e teste che cadono.
Sarà la stagione delle contrapposizioni. Quelle tra Kate e Hal, tra i capi politici inglesi e americani, tra la ragion di Stato e lo stato della ragione. Regna il caos e starci dentro è tanto asfissiante quanto – a tratti – divertente. I nuovi episodi scorrono veloci, ‘freezati’ a metà corsa da un salto temporale inizialmente disorientante, ma per cui si riuscirà a trovare il ponte di collegamento.
L’arte della diplomazia
L’interpretazione di Keri Russell e la regia di Debora Cahn confermano un costante e ascendente livello di tensione, preludio per sostenere una trama di lungo corso.
Rispetto ai tempi d’oro dello spionaggio cinematografico, il political drama ha conosciuto un forte arresto qualitativo, fatto di firme acclamate ma incapaci di lasciare il segno.
The Diplomat, dal canto suo, rispolvera la morbosa ostinazione di guardare sempre al di là dell’ovvio. Le dinamiche geopolitiche appaiono reali, così terrene da toccare a volte il fondo. Non occorrono particolari sofismi per creare una storia avvincente. La Storia basta da sé. In questa nuova stagione la scrittura capovolge quelle che avevamo assunto in precedenza come certezze. Con arguzia e competenza Cahn crea un doppio binario su cui viaggiano alleati e nemici, amanti e rivali. Destini nati distanti ma destinati a ricongiungersi.
Due cuori per un’ambasciata
Per quanto gli intrighi internazionali alimentino la linfa vitale della serie, l’indecifrabile matrimonio tra Kate e Hal fa da gancio e da traino in ogni puntata. Kate indossa perfettamente quel velo di enigma con cui non svela mai la sua intima volontà. Scavarne l’animo è uno dei tanti stimoli voraci con cui approcciarsi alla serie.
Keri Russell e Rufus Sewell regalano interpretazioni affilate e palpabili, donando realismo a ogni sguardo fermo, silenzio pungente o gesto complice. Si avvertono a pelle anche se distanti, eppure spesso soffrono la condivisione di uno spazio che è destinato solo ad uno dei due. I loro scambi sono taglienti, densi e spesso decisivi, tanto da mettere in secondo piano anche il rischio di un imminente attacco bellico.
Un cast che riesce a stare al passo
Nonostante il dualismo matrimoniale vale da solo gran parte della riuscita della serie, ciascun personaggio che gravita intorno ai meccanismi intricati di dinamiche impazzite, riesce a far scorrere egregiamente ogni ruota dell’ingranaggio. Il cast, arricchito dall’astuta Capo della CIA Eidra Park (Ali Ahn), il tenace Vice Capo Missione Stuart Heyford (Ato Essandoh), la calcolatrice Capo di Gabinetto della Casa Bianca Billie Appiah (Nana Mensah), è complementare in ogni sequenza. Il loro contributo, apparentemente marginale, è il collante per tenere insieme parti di un insieme perennemente a rischio deflagrazione.
La penna del successo
Debora Cahn, ideatrice già di West Wing e Homeland, ha ben compreso come un thriller politico non possa sopravvivere a lungo e con qualità se, per pigrizia di contenuti, non osa andare oltre la coerenza di genere.
The Diplomat non è solo un gomitolo di trame lacerate dalle mani indelicate del potere, ma è anche continua ricerca della tensione che si cuce nella mente dell’uomo.
La sceneggiatura è un continuo colpo di scena, iniettando umorismo anche nelle situazioni drammatiche e dando realtà a ciò che sarebbe impossibile anche solo immaginare. A fare da cornice, senza sostituirsi al quadro, sono le splendide inquadrature di una Londra che muta. Lussuosa nei palazzi, signorile nei cliché, dinamica nelle (ri)soluzioni, ma anche macabra nei sobborghi delle sue paludi.
The Diplomat, la serie promossa a pieni voti
In tutte e tre le stagioni, The Diplomat si è dimostrata una serie acuta, appassionata e ironica. Lo ha fatto in punta di piedi, senza il rumore dei super acclamati blockbuster, dalle alte aspettative e dalle basse soddisfazioni. Il suo è stato un cammino in salita per arrivare fino ai grandi nomi del cinema e ai grandi numeri del pubblico, preservando la propria individualità.
Premiata dal pubblico con i 173,46 milioni di ore di visione della prima stagione e la permanenza della seconda per quattro settimane nella top 10 delle serie Netflix più viste al mondo. Tale successo non è rimasto indifferente agli occhi dell’Academy, viste le numerose e prestigiose nomination sagli Emmy e ai Golden Globe anche per questi ultimi 8 episodi.
The Diplomat, grazie alla sua pelle cangiante e camaleontica, riesce a sedurre sia gli appassionati del gergo politico sia chiunque cerchi una storia avvincente e di sostanza. A qualunque categoria apparteniate, ve ne innamorerete.





