Gaza, la sfida di immaginare un futuro
La tregua a Gaza è appesa a un filo. La fase 2 del piano di pace imposto (fortunatamente) da Trump rappresenta senz’altro il tassello più difficile da incastrare. Da una parte, infatti, Hamas sta incontrando difficoltà, ampiamente annunciate, nel reperire i corpi degli ostaggi israeliani (ne restano ancora 19). Dall’altra una guerra silenziosa per il controllo della Striscia sta collezionando uccisioni e intimidazioni, perpetrate dalla stessa Hamas. Israele, come se non bastasse, continua a uccidere civili, anche se in proporzioni infinitamente ridotte rispetto a prima dell’accordo. Magra consolazione figlia dei tempi.
Sperando che l’impasse possa risolversi, si fa intanto il conto dei danni materiali, cui il processo di pace dovrebbe porre rimedio. Secondo Hamas, nella Striscia ci sono ormai 70 milioni di tonnellate di macerie, oltre a 20mila ordigni inesplosi. Basti pensare che in Ucraina, che pur sta vivendo un conflitto drammatico (iniziato oltre un anno prima rispetto a quello di Gaza), si stima che le macerie siano 6,4 milioni di tonnellate: meno di un decimo dunque di quelle prodotte nella Striscia, che pur è infinitamente più piccola del Paese slavo.
E qui si parla “solo” dei danni materiali e non delle vittime. Quasi 68mila i palestinesi morti dal 7 ottobre 2023, con i feriti che hanno superato le 170mila unità. Tra i morti almeno 20mila sono bambini. Oltre 56mila, invece, i bambini che hanno perso almeno un genitore.
ANP: “Faremo tutto ciò che è necessario per diventare uno Stato”
L’entità delle distruzioni è stata spiegata oggi dal ministro degli Esteri dell’Autorità Nazionale Palestinese. Varsen Aghabekian Shahin, cristiana di origine armena, ha infatti quantificato le necessità della ricostruzione in almeno 67 miliardi di dollari. Lo ha fatto a Napoli, nel corso della terza giornata dei Med Dialogues (organizzati dall’ISPI e dal MAECI e ospitati nella città partenopea dal 15 al 17 ottobre).
Il piano di pace “è sostenuto dai Paesi arabi e dal mondo islamico e anche perché è l’unico piano sul tavolo, non ce ne sono altri”, ha spiegato l’esponente palestinese.
“Quello che serve è un cessate il fuoco sostenibile che consenta all’Autorità Nazionale Palestinese di realizzare il piano […] Faremo tutto ciò che necessario per diventare uno Stato come gli altri del mondo e se gli Stati Uniti vogliono essere parte di questo processo devono iniziare ad avere un maggiore coinvolgimento con il governo palestinese”, ha aggiunto.
“Continueremo a fare pressione e a fornire sostegno affinché il resto del mondo riconosca la Palestina, perché è la cosa giusta da fare. Se il mondo sostiene davvero il diritto internazionale, se crede nella sua applicazione universale, senza differenze tra Nord e Sud, tra religioni diverse, allora non può non riconoscere la Palestina”, ha proseguito il ministro.
“Viviamo sotto occupazione da quasi sette decenni. Abbiamo sopportato enormi sofferenze”, ha poi denunciato l’esponente palestinese.