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Il passaporto americano fuori dalla Top 10 mondiale

Gli Stati Uniti scendono al 12° posto nel ranking globale dei passaporti. Singapore e Giappone guidano la classifica. L'Italia al terzo posto insieme a Germania, Francia e Spagna.

Salussolia & Associates by Salussolia & Associates
Novembre 10, 2025
in Attualità, Ultimissime
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passaporto americano

Cav. Dott. Salussolia, Est. LLM, and Avv. Carmela de Luca

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Il passaporto americano non è più tra i primi dieci al mondo. Per la prima volta in oltre vent’anni, secondo l’Henley Passport Index, gli Stati Uniti scivolano al dodicesimo posto, affiancati dalla Malesia, con la possibilità di accedere senza visto o con visto all’arrivo a 180 destinazioni su 227.

In testa, come ormai da tempo, Singapore mantiene il primato con 193 destinazioni, seguita da Corea del Sud e Giappone, a conferma della crescente influenza asiatica in un campo un tempo dominato dall’Occidente. È un cambiamento più profondo di quanto possa apparire.

Per decenni, il passaporto americano è stato il simbolo tangibile del potere globale degli Stati Uniti — il documento di chi poteva viaggiare quasi ovunque, con pochi controlli e molte porte aperte.
Oggi quella facilità si incrina: la classifica racconta un arretramento lento ma costante, che riflette una transizione geopolitica più che una semplice questione di mobilità individuale.

  • Un segnale del cambiamento
  • Cosa misura davvero la “forza” di un passaporto
  • L’Europa fa sistema
  • La globalizzazione cambia volto
  • Un termometro geopolitico, non solo turistico
  • Il modello americano fallisce

Un segnale del cambiamento

Mentre Washington si concentra su priorità interne e sulla sicurezza dei confini, diverse capitali europee e asiatiche consolidano la propria rete di accordi di libera circolazione, puntando su cooperazione e diplomazia economica.

Le radici di questo fenomeno risalgono al 2014, quando il passaporto statunitense occupava il primo posto mondiale per libertà di viaggio, simbolo della fiducia internazionale verso gli Stati Uniti.
Da allora, però, è iniziato un lento arretramento: mentre altri Paesi — soprattutto in Asia ed Europa — ampliavano rapidamente la propria rete di accessi senza visto, gli Stati Uniti procedevano a ritmo più contenuto. Anche se il numero complessivo di Paesi accessibili per i cittadini americani non è diminuito, la crescita più rapida di altre nazioni ha determinato un progressivo scivolamento nella classifica. Tra il 2013 e il 2023, gli USA hanno guadagnato solo 12 nuove destinazioni, contro le 25 di Singapore.

Il 2014 resta quindi un punto di svolta simbolico: da quell’anno, l’egemonia americana nella mobilità internazionale ha cominciato a cedere il passo a un equilibrio più multipolare. Il passaporto statunitense, un tempo emblema di potere e apertura, oggi riflette un mondo in cui l’influenza si misura nella capacità di costruire reti di cooperazione, non solo di mantenere confini.

Cosa misura davvero la “forza” di un passaporto

Dietro una classifica apparentemente tecnica si nasconde un indicatore della fiducia internazionale. L’Henley Passport Index, pubblicato trimestralmente dalla società di consulenza britannica Henley & Partners, calcola quante destinazioni un cittadino può raggiungere senza richiedere un visto preventivo o ottenendolo all’arrivo. Una formula che riflette anni di relazioni diplomatiche, trattative bilaterali e un capitale immateriale che potremmo definire “credito geopolitico”.

In altre parole, la forza di un passaporto non misura solo la libertà di viaggiare, ma anche la fiducia che gli altri Stati ripongono in un Paese: nella sua stabilità politica, nella trasparenza amministrativa e nella capacità di cooperare in materia di sicurezza e immigrazione. Ogni accesso senza visto è il risultato di un accordo fondato su reciprocità e reputazione — due risorse che, nel mondo globale, valgono quanto il potere militare o economico.

Il concetto di soft power si traduce così in qualcosa di concreto: un documento che apre o chiude confini. Quando un Paese perde posizioni in questa graduatoria, non è solo una questione di turismo o burocrazia, ma un segnale del suo ruolo nel mondo.

L’Europa fa sistema

L’Europa “fa sistema”. Molti Stati membri dell’Unione Europea sfruttano la forza del mercato unico e della mobilità interna per costruire un capitale di fiducia collettivo: non è tanto il singolo passaporto a dominare, quanto un intero blocco geopolitico che negozia insieme.

Il passaporto italiano risulta tra i più potenti al mondo, al terzo posto insieme a Francia, Germania e Spagna, con circa 189 destinazioni accessibili senza visto o con visto all’arrivo. Ciò evidenzia due aspetti: da un lato, i cittadini italiani godono di una libertà di movimento tra le più ampie al mondo; dall’altro, mostra come l’appartenenza all’Unione Europea e una diplomazia condivisa si traducano in vantaggi concreti per la mobilità internazionale.

In confronto, gli Stati Uniti — pur restando un Paese ad alto reddito e con forti relazioni internazionali — mostrano un arretramento. La caduta dalla top ten non è solo un numero, ma un indicatore del fatto che i modelli europei, basati su apertura, integrazione e reciprocità, stanno prevalendo su quelli fondati principalmente su bilateralismi e controllo.

Negli Stati Uniti, la notizia del declassamento ha acceso un dibattito che va ben oltre la questione burocratica. Come riportato da Axios e da diversi think tank americani, l’uscita dalla top ten è stata interpretata come un segnale di indebolimento del soft power statunitense, un termometro del cambiamento nella percezione internazionale degli USA. Negli ultimi anni Washington ha adottato politiche migratorie più rigide e una diplomazia condizionata da tensioni geopolitiche e rivalità strategiche.
Il risultato è una rete di accordi congelati o non rinnovati, mentre altre potenze — soprattutto in Asia e in Europa — hanno scelto la via opposta: costruire fiducia attraverso apertura e cooperazione.

La globalizzazione cambia volto

La globalizzazione non è finita, ma si evolve. Oggi chi investe nella mobilità, nell’inclusione e nella reciprocità guadagna influenza anche in termini politici. L’Italia, oggi al terzo posto mondiale insieme a Francia, Germania e Spagna, gode di una posizione di prestigio che deriva dalla forza collettiva dell’Unione Europea e da una rete di relazioni internazionali estese.

Ma la storia americana insegna che nessun vantaggio è permanente. Potrebbe l’Italia, un giorno, seguire la stessa traiettoria di lento indebolimento del passaporto statunitense? Dipenderà dalle scelte future: dalla capacità di mantenere una politica estera stabile e credibile, di non chiudersi su sé stessa e di continuare a investire nella mobilità come strumento di diplomazia.

Resta una domanda più profonda: come hanno potuto gli Stati Uniti, in meno di un decennio, perdere tanto potere simbolico? Forse perché il mondo è cambiato più in fretta della loro politica estera, o perché la leadership non si misura più solo nella forza economica o militare, ma nella capacità di creare connessioni, fiducia e accesso.

Un termometro geopolitico, non solo turistico

Il declassamento del passaporto americano non è una semplice curiosità statistica, ma il riflesso di un nuovo equilibrio internazionale, dove ogni accordo sui visti racconta un rapporto di fiducia e cooperazione. In questa rete globale, gli Stati Uniti — un tempo arbitri della mobilità mondiale — oggi inseguono chi ha saputo costruire relazioni più dinamiche.

La forza di una nazione non si misura più solo nella capacità di influenzare mercati o alleanze, ma anche nella facilità con cui i suoi cittadini possono viaggiare, lavorare e studiare all’estero. È la dimensione “umana” del potere, quella che indici come l’Henley Passport Index traducono in dati.

E quei dati parlano chiaro: 180 destinazioni oggi non bastano più per restare nell’élite della mobilità globale. Washington dovrà ripensare la propria strategia, passando da un approccio difensivo a uno cooperativo e multilaterale, capace di ricostruire fiducia e aprire nuovi tavoli negoziali.

Il modello americano fallisce

Per l’Italia e per l’Europa, la lezione è chiara: la forza del passaporto europeo nasce da una diplomazia condivisa e da un’identità aperta. Ma il caso americano dimostra quanto il prestigio possa svanire se dato per scontato. Conservare il primato richiederà continuità e consapevolezza, perché nel XXI secolo la libertà di movimento è una nuova forma di potere.

In definitiva, il passaporto è molto più di un documento di viaggio: è il segno visibile del posto che un Paese occupa nel mondo. E oggi è chiaro che il baricentro globale non ruota più attorno a una sola capitale, ma intorno a chi sa costruire ponti.

By: Carmela De Luca
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