Oggi è una giornata di festa negli Stati Uniti, è il Martin Luther King Day, una festività federale in cui numerose attività vengono sospese e tutti gli uffici pubblici chiusi. Oggi però è anche la giornata di insediamento del 47esimo presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, eletto il 5 novembre scorso con oltre 78 milioni di voti di preferenza. Una data, quella, che ha chiuso una campagna elettorale complicata tra processi e assoluzioni, e ben due attentati alla vita del candidato repubblicano.
Con il lunedì del Martin Luther King, gli americani godono di un weekend lungo, occasione imperdibile per i supporter di Trump, che hanno raggiunto Washington e ieri nell’ambito degli eventi pre-giuramento hanno dato vita a quello che è stato definito il “Rally della vittoria”. Una fiumana di gente, accorsa da ogni angolo degli Stati Uniti, si è data appuntamento nella capitale, nonostante le temperature artiche, – 4 gradi. Insieme, incitando lo slogan Make America Great Again, migliaia di persone hanno sfilato lungo le strade di Washington per arrivare all’arena “Capital One”, che però non ha potuto ospitare tutti: i posti disponibili sono 18.000. Secondo i dati della polizia sarebbero giunti nel weekend 250.000 persone con biglietto.
Archiviata ogni preoccupazione circa possibili rivolte, come invece accaduto nel 2016, in occasione della prima elezione di Trump. Al contrario, vi è solo l’entusiasmo di un popolo che chiede lavoro, sicurezza e pace: i temi che sono stati centrali nella campagna elettorale del tycoon.
Da queste prime ore del 20 gennaio 2025 si apre una nuova era per la più grande democrazia dell’Occidente, che aspira a riprendersi quel ruolo centrale nella politica internazionale, minato dagli ultimi quattro anni di governo Biden, e a restituire al popolo l’inalienabile diritto a perseguire la Felicità, sancito nella Dichiarazione d’Indipendenza.
Si respira un’aria nuova in America e pare di essere tornati ai tempi in cui all’elezione di un nuovo inquilino della Casa Bianca ogni americano diceva: “Benvenuto presidente”, a prescindere dall’appartenenza politica.
Anche noi oggi, diciamo benvenuto presidente Trump, cosi come quattro anni fa lo abbiamo detto a Joe Biden. Un rispetto istituzionale che, chi vive negli Stati Uniti, sa che è venuto a mancare. In nome del politically correct sono stati messi in soffitta principi che fanno di un Paese un luogo democratico nel segno della sicurezza e della libertà di espressione. Qui, dove è stato consentito a facinorosi e violenti di vandalizzare città intere al grido “you are not my president“, si volta finalmente pagina. Non per “volontà divina” ma per volontà del popolo sovrano.
Il risultato elettorale di novembre evidenzia la necessità e il desiderio degli americani di ripristinare quei principi di rispetto del dissenso, venuti a mancare nel nome del pensiero unico, dominante e dominatore.





