L’on. Amedeo Laboccetta presidente del Movimento “Polo Sud” propone la costituzione di comitati a sostegno della riforma della separazione delle carriere.
Onorevole Laboccetta, come nasce questa idea?
L’idea di formare comitati in ogni regione, presieduti da giuristi – avvocati, magistrati, docenti universitari – a sostegno della riforma della separazione delle carriere di pubblici ministeri e giudici mi è venuta dopo aver assistito all’ignobile gazzarra scatenata contro il guardasigilli Nordio da un nutrito drappello di toghe nel corso della cerimonia d’inaugurazione dell’Anno giudiziario a Napoli, tenutasi nel prestigiosissimo Salone dei Busti di Castel Capuano.
Quindi nasce a seguito di questo episodio?
No. Coltivavo questo proposito già da tempo: precisamente da quando il Parlamento è rimasto inerte e imbambolato di fronte al libro-denuncia “Il Sistema” scritto a quattro mani da Alessandro Sallusti e Luca Palamara, direttore de “Il Giornale” il primo, magistrato (poi radiato) il secondo, oltre che gran conoscitore e manipolatore dei perversi meccanismi correntizi che ispirano e regolano l’attività e le carriere dei togati.
Era il 2021 e al governo brillava il Movimento 5 Stelle con Giuseppe Conte premier…
Esatto. Sarebbe stato quello il momento per istituire una Commissione d’inchiesta che facesse finalmente luce sull’uso politico della giustizia da parte di settori della magistratura e su come questi avessero condizionato e tenuto sotto scacco parlamenti e governi espressione della volontà popolare. Ma alla politica, soprattutto al centrodestra, cioè la parte più colpita dall’eversiva esondazione dei pm militanti ben incistati nell’Anm, il potente sindacato di categoria, mancò il coraggio. Fu in quell’occasione che mi resi conto della necessità di coinvolgere il popolo, nel cui nome è (o almeno dovrebbe essere) amministrata la giustizia.
La legge è uguale per tutti e i giudici sono super partes: il nostro sistema si basa su questi principi indiscutibili.
Purtroppo, non sempre in Italia è così. Anzi, quasi mai quando alla sbarra c’è l’imputato eccellente, il nome famoso. In quel caso, infatti, il processo può diventare un formidabile trampolino di lancio per assicurare una carriera fulminante al pm procedente. Soprattutto se il togato può contare su giornalisti compiacenti in grado di allestire a sua maggior gloria il famigerato circuito mediatico-giudiziario che ha rovinato vite, carriere e reputazioni.
Cosa c’entra tutto questo con la separazione delle carriere?
I detrattori della riforma dicono che la riforma Nordio sia del tutto inutile, dal momento che oggi un pm e un giudice possono finire l’uno nei ranghi dell’altro una sola volta nella loro vita professionale. Vero. Gli stessi detrattori, però, non spiegano perché una misura ritenuta pressoché inutile venga avversata con tanta ostentazione. È del tutto evidente che costoro non la raccontano né giusta né intera. Non dicono infatti che con un solo Csm, l’organo di autogoverno della magistratura, sono i pm, di gran lunga superiori di numero ai giudicanti, a determinare le carriere di questi ultimi. E scusate se è poco.
Già, quale autonomia di valutazione può avere un giudice quando sa che scontentare un rappresentante della pubblica accusa potrebbe creargli intoppi alla carriera? Non pensiamo ai processi ai “poveri Cristi” bensì a quelli con imputati eccellenti, quelli che fanno fare punti e danno notorietà. Basterebbe questo a spiegare perché la riforma di Nordio s’ha da fare. Tutto il resto è incomprensibile “latinorum”. Insomma, se vogliamo un’Italia più forte, più libera e più giusta occorre una politica con più coraggio. I comitati servono esattamente a questo: a ricordare a chi governa che quando una riforma è stata varata perché ritenuta necessaria, la si porta avanti fino in fondo, costi quel costi. Del resto, le mezze misure e i compromessi al ribasso del passato hanno già fatto molti guai. Ora più che mai è tempo di voltare pagina.





