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Home Editoriale

Minacce di morte alla figlia della Meloni: perché le scuse di Stefano Addeo non bastano

Il professore di tedesco chiede scusa e da carnefice si fa vittima. Avrebbe cancellato il post perché “un gesto stupido, uno sfogo notturno”.


Enza Michienzi by Enza Michienzi
Giugno 1, 2025
in Editoriale, Ultimissime
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La violenza non ha colore politico e la madre degli imbecilli è sempre incinta. I social, che hanno sdoganato le frustrazioni di soggetti piccoli piccoli (chiamarli leoni da tastiera è già un complimento), oggi hanno un nuovo protagonista, un nuovo mostro, Stefano Addeo – professore di liceo in una scuola in provincia di Napoli.

Il tal Addeo ha pubblicato sulla sua pagina FB: “Auguro alla figlia di Meloni la stessa fine di Martina Carbonaro”, la ragazza uccisa a colpi di pietra dall’ex fidanzato.

Siamo oltre limite umano, ancor prima che politico. Ancora una volta ci risiamo, ma questa volta l’autore di uno dei più aberranti messaggi di morte, ad una bambina, è un educatore, un insegnante di tedesco. Un soggetto che tutti i giorni è a contatto con i giovani, gli stessi che noi genitori consegniamo alla scuola, il luogo dove oltre ad impartire nozioni di matematica, italiano, storia, si aiutano i ragazzi nella crescita personale.

  • Le scuse non bastano
  • L’irresponsabilità di un educatore
  • La politicizzazione del pentimento
  • Conseguenze inevitabili, non persecuzioni

Le scuse non bastano

Nel turbinio di indignazione che ha seguito il post del tal Stefano Addeo, la parola più pronunciata dallo stesso è stata “errore”. Lo ha definito: “Un gesto stupido, impulsivo, uno sfogo notturno.” Ma il punto di caduta non è se sia stato uno sbaglio, il punto è quanto questo “errore” sia rivelatore di qualcosa di più profondo, e quanto siano insufficienti e irrilevanti le sue scuse e giustificazioni:”Non ho mai fatto politica in classe”.

L’irresponsabilità di un educatore

 Come dicevamo, un insegnante non è solo un tecnico dell’insegnamento. È, nel bene o nel male, un esempio, un modello, una figura di riferimento per studenti che si stanno formando. Sostenere che “in classe non ha mai fatto politica” non è una giustificazione sufficiente. Non serve indottrinare in aula per influenzare gli studenti: basta mostrare online un livello così basso di umanità e rispetto da augurare la morte a una bambina. Questo mina la credibilità morale e professionale di chiunque lavori nel campo dell’educazione.

La politicizzazione del pentimento

 Il tal Addeo si pente, ma prova a passare da carnefice a vittima e accusa la politica di strumentalizzazione. Ancora una volta il tal professore sottolinea una volta la sua mancanza di empatia, etica e responsabilità.

 Il professore va all’attacco e snocciola i suoi impegni sociali, sottolinea il suo volontariato, il suo amore per gli animali, il rispetto che riceve dai suoi studenti. Dichiarazioni che suonano come tentativi goffi di bilanciare un atto gravissimo che rivelano i tratti veri del proprio carattere e del suo essere. Il tal Addeo non sa che l’etica non si misura solo nelle buone azioni occasionali, ma anche — e soprattutto — nei momenti in cui si dovrebbe avere la lucidità di non superare certi confini, specie pubblicamente.

Conseguenze inevitabili, non persecuzioni

 Il tal Addeo denuncia di essere stato minacciato e perseguitato. E se questo è vero, è inaccettabile. Nessuno merita intimidazioni. Ma le critiche, anche dure, e le richieste di sospensione dal ruolo sono tutt’altro che persecuzioni: sono una legittima conseguenza della responsabilità che accompagna chi lavora nella scuola pubblica. Nessun educatore dovrebbe rimanere impunito dopo aver evocato la morte di un minore per ragioni ideologiche.

Il messaggio pubblicato non è solo il frutto di un post infelice. È la manifestazione di un clima in cui l’odio viene troppo spesso travestito da opinione politica, e dove le scuse arrivano sempre dopo, quando la rete ha già fatto il suo corso. Chi educa ha il dovere di essere migliore — non perfetto, ma lucido, rispettoso, umano. E chi non è in grado di sostenere questo standard dovrebbe chiedersi, e dovremmo chiederci, se è nel posto giusto.

 


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