Kamala Harris sale nei sondaggi relativi ai “Sun Belt States”, alla vigilia dell’inizio della convention di Chicago che consacrerà la sua candidatura alle elezioni presidenziali. In un nuovo rilevamento di New Times/Siena College Poll, la democratica, scelta dal presidente Joe Biden per sostituirlo come front-runner, viene data in vantaggio di cinque punti in Arizona, di due in North Carolina, indietro di appena un punto in Nevada e di quattro in Georgia. I sondaggisti del Siena college sottolineano che in questi quattro Stati, anche in quelli in cui è ancora sotto, Harris ha “guadagnato una media di nove punti”.
Kamalizzazione a tutto spiano
“Kamala-fying the convention”. Politico ha usato un neologismo per spiegare la corsa alla “kamalizzazione” dell’evento che si apre lunedì. Un lavoro non facile, se si considerano gli accorgimenti adottati per non contrariare troppo “Sleepy Joe”, a quanto pare ancora avvelenato per la rinuncia tutt’altro che spontanea alla corsa alla Casa Bianca. Anche perché, come ha rivelato la stessa testata, citando amici e consiglieri stretti del presidente, Biden è ancora arrabbiato con Barack Obama, Nancy Pelosi e Chuck Schumer per il modo in cui l’hanno indotto a fare il passo indietro. Nel suo mirino ci sarebbe soprattutto Pelosi, per il modo, ritenuto “spietato”, in cui l’ex speaker l’ha di fatto messo alla porta.
Alla ricerca dell’equilibrio per non mortificare Biden
Stando al programma la kermesse democratica sarà aperta proprio dal “defenestrato” Joe Biden, il cui intervento è previsto per lunedì, insieme a quello di Hillary Clinton. Nel suo discorso, assicurano a Nbcnews alcuni dei suoi collaboratori, il presidente ribadirà di ritenere che Donald Trump sia un pericolo per la democrazia americana. Una sorta di chiamata alle armi per compattare l’ambiente.
La sfida, secondo uno degli organizzatori della convention, è quella di raggiungere “un delicato equilibro tra la presentazione del mondo, delle convinzioni, le idee e il futuro in cui Kamala crede, senza tralasciare i risultati ottenuti in questi tre anni e mezzo” di amministrazione Biden.
Martedì sarà la volta di Barack Obama, mentre il terzo presidente dem, Bill Clinton, salirà sul palco mercoledì, quando parlerà anche il candidato alla vice presidenza, il quasi anonimo Tim Walz. La conclusione, come da prassi consolidata, toccherà a Kamala Harris.
Le manifestazioni di protesta
La “Windy City”, come viene chiamata la città dell’Illinois affacciata sul lago Michigan, sarà blindatissima. “Il nostro piano è che tutti siano al sicuro in città e vogliamo che questo sia un successo”, ha assicurato il capo della polizia di Chicago, Larry Snelling.
Da oltre un anno agenti ed ufficiali di polizia hanno partecipato ad un addestramento speciale per affrontare manifestazioni e disordini. Il ricordo del 2020, quando le proteste per l’omicidio di George Floyd degenerarono in incendi, razzi e rivolte nel centro della città, è ancora vivo.
I grattacapi non mancheranno. Lunedì a mezzogiorno a Union Park, che si trova a quattro isolati dal centro dove si riuniscono i democratici, si svolgerà “la più grande manifestazione per i diritti dei palestinesi nella città di Chicago”. La seconda è indetta per giovedì alle 5 del pomeriggio, poco prima del discorso di Harris. Una terza è in programma per mercoledì alle 15.30 dalla Chicago Coalition for Justice in Palestine.
Il nodo dei soldi arriva anche in Italia
Continua a far discutere la pioggia di finanziamenti pro Harris. La questione è dibattuta anche in Italia, soprattutto per la difformità di giudizio. “Seguendo sul web le elezioni americane, mi spiegate perché per certa gente chi finanzia la campagna di Kamala Harris è un santo e chi invece finanzia quella di Donald Trump, come Musk, è un diavolo? Praticare questa doppia morale, come fa certa sinistra italiana, non vuol dire essere buoni due volte, vuol dire essere ipocriti due volte. E a proposito di campagne elettorali, dopo l’inchiesta di Genova, chi avrà il coraggio alle prossime elezioni di sostenere un candidato o un movimento politico? Sono curioso di vedere che ne pensano i partiti”. Così Giovanni Toti, ex governatore della Liguria, sulla sua pagina Facebook.
Le possibili ingerenze straniere
Anche l’Iran avrebbe messo in piedi operazioni per influenzare il risultato delle elezioni negli Stati Uniti con post e articoli generati dall’Intelligence artificiale da pubblicare sulle piattaforme social e siti web. La società madre del software di intelligenza artificiale OpenAi, ChaptGpt, ha reso noto di aver bloccato account “legati a una operazione di influenza iraniana per generare contenuti focalizzati su diversi temi, inclusa la campagna presidenziale”.
“Abbiamo rimosso un cluster di account ChaptGPT che generavano contenuti per una operazione di influenza iraniana sotto copertura identificata come Storm-35. Non c’è alcuna indicazione che questo contenuto abbia raggiunto un pubblico significativo”, si legge in una nota dell’azienda in cui si precisa solo che i testi erano diretti a elettori di entrambi i principali schieramenti politici negli Stati Uniti.