Liste di attesa e problemi economici: gli italiani costretti a scelte difficili
Il nodo sanità è certamente uno dei più complessi da sciogliere nelle società occidentali. Soprattutto per un Paese, come l’Italia, in cui l’età media è molto avanzata e dove si prova, senza successo, a difendere quel Servizio Sanitario Nazionale che per tanto tempo è stato un vero e proprio orgoglio nazionale. Peggioramento della situazione economica generale dopo decenni di austerità e tagli a finanziamenti e risorse stanno però causando la tempesta perfetta. A farne le spese, ovviamente, i cittadini, che possono contare sempre meno sulla sanità pubblica. Tra gli ostacoli più penalizzanti vi sono le lunghe liste di attesa.
L’allarme arriva dalla Fondazione GIMBE, che ha sciorinato i numeri dell’emergenza. Nel 2024, infatti, Il 6,8% della popolazione (4 milioni) ha rinunciato a effettuare delle visite o a sottoporsi agli esami proprio a causa delle liste di attesa. “Se tra il 2022 e il 2023 l’aumento della rinuncia alle prestazioni era dovuto soprattutto a motivazioni economiche – ha spiegato Nino Cartabellotta, Presidente della Fondazione – tra il 2023 e il 2024 l’impennata è stata trainata in larga misura dalle lunghe liste di attesa”.
Un fenomeno in crescita
I 4 milioni che hanno rinunciato per le lunghe tempistiche, ovviamente, non sono gli unici a non essersi sottoposti ad analisi, test o visite mediche. Insieme a loro vi sono anche 3,1 milioni di italiani che hanno evitato per ragioni di natura economica.
Entrambi gli insiemi sono purtroppo in crescita. Per le liste di attesa nel 2022 si sono astenuti dal farsi visitare 2,5 milioni di connazionali, aumentati a 2,7 milioni nel 2023 e, come abbiamo visto, diventati 4 milioni lo scorso anno.
Specularmente, per questioni economiche hanno rinunciato nel 2022 1,9 milioni di persone, nel 2023 2,5 milioni e, appunto, 3,1 milioni nel 2024.
“Negli ultimi due anni – prosegue Cartabellotta – il fenomeno della rinuncia alle prestazioni non solo è cresciuto, ma coinvolge l’intero Paese, incluse le fasce di popolazione che prima della pandemia si trovavano in una posizione di ‘vantaggio relativo’, come i residenti al Nord e le persone con un livello di istruzione più elevato. Il vero problema non è più, o almeno non è soltanto, il portafoglio dei cittadini, ma la capacità del SSN di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute”.