L’Amministrazione USA fa retromarcia sul rimpatrio degli studenti stranieri con corsi solo on-line. La decisione di qualche giorno fa da parte del SEVP (Student and Exchange Visitor Program) dell’Immigration & Customs Enforcement, di vietare agli studenti in possesso di visti F-1 e M-1 di rimanere negli USA se il proprio piano di studi avesse previsto esclusivamente corsi tenuti on-line, aveva fatto molto scalpore.
In sintesi, gli studenti internazionali iscritti ad un’università o ad un college che offrisse – causa COVID-19 – solo lezioni online, avrebbero perso il loro status di studente e rischiato l’espulsione; a meno ovviamente di trasferimento ad altro istituto che potesse offrire lezioni “in presenza” o modelli ibridi, con lezioni on line ed in classe.
Sia l’Università di Harvard che il MIT avevano intentato causa e un’udienza giudiziaria era già stata fissata ieri martedì 14/07/2020. Le due scuole chiedevano un’ingiunzione preliminare e un ordine restrittivo per impedire al governo federale di attuare la nuova politica. Davanti a questa eventualità l’Amministrazione Trump, secondo gli atti depositati al tribunale federale, avrebbe deciso di far decadere il piano.
Archiviato dunque il rischio indotto dalla sospensione dei Visti per gli Studenti, rimangono comunque una serie di disfunzioni in tutto il sistema di immigrazione USA.
Ad esempio, di recente, l’USCIS (United States Citizenship and Immigration Services) ha deciso di “stamparsi in proprio” le carte verdi e i permessi di lavoro, anziché continuare a subappaltarne il servizio. Purtroppo, l’Agenzia non sembra avere la capacità di stare al passo con la domanda. Il backlog pare sia già di oltre 50.000 “Green Cards” e 75.000 “Employment Authorization”.
I titolari di Green Card sono tenuti per legge a portare sempre con se la propria carta e molti stanno già girando con carte scadute. Questa situazione creerà sicuramente problemi, ed in caso di cambio di lavoro non sarà possibile dimostrare di aver titolo per lavorare negli Stati Uniti.
Il ritardo nella stampa dei permessi di lavoro sta creando ulteriore caos. I lavoratori stranieri, il cui permesso negli Stati Uniti non è dovuto ad uno status ma ad una specifica autorizzazione, saranno certamente danneggiati perché non potranno iniziare o continuare a lavorare in mancanza di un documento di autorizzazione al lavoro valido. Le “Employment Authorization” lo ricordiamo, sono valide solo per uno o due anni, e ciò potrebbe causare interruzioni del lavoro indesiderate e dannose sia per i datori di lavoro che per i dipendenti.
Sebbene alcuni lavoratori possano continuare a lavorare con le carte di autorizzazione al lavoro scadute per un massimo di 180 giorni – purché abbiano richiesto tempestivamente il rinnovo – altri, come i titolari di visto L-1, E-2 e J-1 o i destinatari del DACA, non lo potranno fare.
Altro problema emergente per l’USCIS è l’esaurimento dei fondi operativi. L’Agenzia, lo ricordiamo, non è finanziata dal Congresso ma si autoalimenta con i “bolli” pagati dai propri “clienti” quando depositano qualunque tipo di richiesta. Dallo scoppio di Covid-19, il numero di domande presentate all’USCIS è fortemente diminuito e l’Agenzia rischia di rimanere senza fondi entro poche settimane. Per questo motivo, l’USCIS ha annunciato il licenziamento di circa il 70% della sua forza lavoro entro il 3 agosto 2020.
Con solo il 30% della forza lavoro l’USCIS sarebbe sostanzialmente impossibilitata ad operare, e fermerebbe bruscamente la lavorazione delle richieste pendenti. Dati gli insormontabili arretrati esistenti, le conseguenze dei licenziamenti proposti potrebbero avere un impatto estremamente negativo sul sistema di immigrazione americano, già piuttosto provato.
La speranza è che il Congresso intervenga fornendo finanziamenti di emergenza, un prestito ponte, o altri aiuti per mantenere aperta l’Agenzia.
di Marco Riccetti