Non c’è rete, manca il wi-fi, esclamiamo spesso. Ma la nostra insofferenza potrebbe
presto diventare un ricordo, visto che la quinta generazione dello standard per le
connessioni internet e le reti mobili, il 5G appunto, promette di coprire ogni
centimetro del pianeta, con un segnale che, in alcuni dei suoi principali parametri, si
moltiplicherà di oltre 100 volte rispetto all’attuale 4G.
Come cambia la vita quotidiana
Nell’esperienza utente di ogni giorno tutto questo vorrà dire che file molto pesanti
diventeranno accessibili in pochi secondi, e che anche in luoghi affollati, mascherine
permettendo, l’accesso alla rete risulterà sempre stabile.
L’altro cambiamento potrebbe scaturire però dal famigerato IoT (Internet of Things),
ovvero “l’internet delle cose”. Il segnale 5G infatti già annulla di fatto il tempo fra
l’invio e la ricezione dei dati, rendendoli quindi sempre accessibili ed aggiornati. Per
questa ragione diventerà possibile ed utile connettere, oltre alle persone, anche le
“cose”, con implicazioni in parte inimmaginabili.
Gli oggetti infatti sono molto più numerosi delle persone e sono coinvolti in milioni
di attività (si stima che entro il 2025 gli ‘smart objects’ potrebbero essere oltre 70
miliardi). Viene subito da pensare alle abitazioni ‘domotiche’ o alla realtà
aumentata. Arriveranno autovetture, treni ed aerei a guida totalmente autonoma,
mentre le banche dati gestiranno consumi energetici e manutenzione dei servizi. In
campo medico cambieranno le politiche di prevenzione, la gestione delle emergenze
e finanche la chirurgia, che sempre di più potrebbe svolgersi da remoto, come
avvenuto in un recente test svoltosi al San Raffaele di Milano in collaborazione con
Vodafone.
Il dibattito
Sembrerebbe un panorama affascinante, da qualcuno già sintetizzato
nell’espressione “Gigabit society”. Ma la rete di quinta generazione lavora
sfruttando le ‘onde millimetriche’ ad alta frequenza e ad alta densità , finora
utilizzate per altri scopi. Ad oggi sarebbe difficile dimostrare che il 5G sia nocivo per
gli esseri umani e l’ambiente. Anche se i rischi derivanti da una costante esposizione appaiono già ampiamente documentati, ad esempio dalle ricerche in tossicologia
ambientale condotte presso il centro Cesare Maltoni dell’Istituto Ramazzini di
Bologna, uno dei primi cinque al mondo, diretto dalla dottoressa Fiorella Belpoggi.
In Italia intanto si sta concludendo la sperimentazione nelle città individuate dal
Mise (ministero dello Sviluppo economico), ovvero Matera, Bari, L’Aquila, Prato e
Milano. Eppure sono di questi giorni le numerose ordinanze di sindaci che, dalla
Puglia, alle Marche e al Veneto, hanno stoppato la costruzione di nuove antenne,
dando vita ad un vero fronte no-5G, che già comprende decine di comuni e include
politici di tutti gli schieramenti.
A livello internazionale le preoccupazioni maggiori riguardano il duro confronto fra
Cina e Usa, vista l’enorme influenza che le compagnie fornitrici della tecnologia (la
cinese Huawei e l’americana AT&T, ma anche la svedese Ericsson e la finlandese
Nokia) potranno esercitare sul traffico di dati. Ma intanto il 2022 è stato individuato
dalle aziende come l’anno zero del 5G, tanto che la Commissione europea, già
all’inizio di quest’anno, si è affrettata a definire parametri tecnici che almeno sulla
carta appaiono stringenti, per avviare il nuovo corso con le maggiori cautele
possibili.
La formazione
In vista di queste prospettive è cresciuta nel mondo anche la richiesta di figure
professionali ad hoc. Da qui è partita l’esperienza della “5G Academy”, frutto
dell’incontro fra Capgemini, un gruppo internazionale che opera nei servizi di
consulenza e della tecnologia, e la Federico II di Napoli. «É stata un’occasione
preziosa per trenta giovani, fra laureati e laureandi, provenienti da diverse aree
disciplinari – ci dice il professore Leopoldo Angrisani, ordinario della cattedra di
Misure Elettriche ed Elettroniche e direttore del Cesma (il Centro Servizi Metrologici
e Tecnologici Avanzati, che ha incorporato questo progetto) -. Le attività didattiche,
coordinate dalla collega Antonia Maria Tulino, si sono svolte nel corso di sei mesi, sia
nelle aule del Complesso Universitario di San Giovanni a Teduccio, sia a distanza, per
via del lockdown. Abbiamo adottato un approccio operativo e multidisciplinare con
prove e laboratori ispirati all’utente 5G, dalle logiche di funzionamento fino al
design».
Ma il professor Angrisani fa parte anche del gruppo di esperti chiamato dall’Agcom,
l’autorità garante per le telecomunicazioni, per monitorare la sperimentazione del
5G sul territorio. «Parlando di salute – conclude – mi sento di rassicurare, e sarei
molto più preoccupato dalla presenza di un vecchio traliccio di tensione, piuttosto
che da un’antenna ad alta frequenza. Quanto ai tempi di sviluppo della nuova rete,
molto dipenderà dalla sperimentazione e naturalmente dal mercato, che dovrà
incontrare le esigenze di milioni di utenti, soprattutto attraverso l’internet delle cose.
Serviranno come regola ancora un paio d’anni, ma a quel punto il 5G sarà l’unica
tecnologia adatta a soddisfare l’enorme domanda di connettività».
By Agorà Magazine