Le quattro tribù d’Israele
Era l’estate del 2015 e Reuven Rivlin stava per pronunciare un discorso d’importanza epocale. A differenza del recente passato, spiegava infatti il presidente della Repubblica, la composizione della popolazione d’Israele era profondamente cambiata. Se negli anni Novanta la maggioranza era composta da ebrei sionisti laici (la colonna portante dello Stato), le dinamiche demografiche del nuovo Millennio stavano mettendo a dura prova la tenuta dello Stato ebraico.
Rivlin individuava quattro “tribù” interne, che segmentavano sempre di più la società in compartimenti stagni. I sionisti laici perdevano terreno rispetto ai nazionalisti religiosi (i responsabili degli insediamenti in Cisgiordania per capirci), agli arabi e agli ebrei ultraortodossi (“haredim”). Questi ultimi due gruppi, peraltro, coltivavano un sentimento di estraneità (quando non di vera e propria repulsione) nei confronti dello Stato ebraico. Gli arabi per ovvie ragioni legate al conflitto israelo-palestinese. Gli ultraortodossi, invece, per la matrice atea d’Israele e per la difficoltà ad armonizzare obblighi religiosi e collaborazione con l’entità sionista.
I mutamenti demografici, per l’appunto, hanno visto arabi e haredim raggiungere insieme quasi la metà della popolazione israeliana. Un problema non da poco per l’establishment, soprattutto in un’epoca di tensioni internazionali al cardiopalma come quella che stiamo attraversando.
Il problema del servizio militare
Ecco dunque che oggi, I aprile, inizia in teoria la possibilità per lo Stato d’Israele di arruolare gli haredim. 66mila ebrei ultraortodossi tra i 18 e i 26 anni potrebbero quindi finire sotto le armi. La storica esenzione è infatti terminata. Essa risale al lontano 1948, anno di fondazione dello Stato ebraico. Tale legge era stata voluta da Ben Gurion e all’inizio riguardava appena 400 giovani. Da allora chi avesse dichiarato di essere “Torato Umanuto” (che significa “Lo studio della Torah è il suo lavoro“) avrebbe potuto evitare di prestare servizio militare.
Una scelta che con il passare del tempo e il crescere esponenziale della comunità haredim è diventata oggetto di aspre polemiche. Comprensibile, infatti, che le famiglie dei coscritti non vedessero di buon occhio il favoritismo dimostrato nei confronti degli ultraortodossi. Allo stesso tempo occorre ricordare come questi fossero in molti casi residenti in Terrasanta ben prima dell’arrivo dei coloni sionisti. I fondatori dello Stato ebraico dovettero dunque gestire il paradosso di stravolgere le usanze degli ebrei religiosi proprio nello Stato creato per la loro salvaguardia.
Nel 2012 la Corte Suprema d’Israele ha invalidato la legge emanata 64 anni prima. Da quel momento si è proceduto a molteplici deroghe per garantire comunque tale esenzione. Il blitz palestinese del 7 ottobre e la guerra di Gaza hanno riaperto l’annosa questione. La Corte Suprema aveva dato a Netanyahu tempo fino al 27 marzo per sciogliere il nodo gordiano. Il premier israeliano ha provato a ottenere un’ulteriore proroga. Giovedì scorso (28 marzo) il massimo tribunale ha però emesso una sentenza secondo cui da oggi, I aprile, si provvederà al congelamento dei fondi pubblici destinati agli studenti ultraortodossi delle scuole talmudiche (ovviamente a quelli che non si presentano alla leva).
Occorrerà del tempo per appurare quelle che si configureranno come delle vere e proprie diserzioni. La strada per gli haredim (e per Netanyahu che è alleato con due loro partiti, “Shass” e “United Torah Judaism”) appare tuttavia sempre più in salita. Ciò vale anche per Israele nel suo complesso, che potrebbe ritrovarsi ad affrontare la disobbedienza civile di una parte significativa della popolazione. Una conflittualità non solo da parte araba ma anche ebraica, dunque. Un incubo per Gerusalemme, che potrebbe diventare presto realtà.
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