Da quando è stato presentato al Festival di Venezia, ho sentito parlare spesso di questo film, con commenti a volte contrastanti, ma la maggior parte di questi e dei titoli delle riviste specializzate, mi hanno fatto sempre credere che questa storia autobiografica, fosse il miglior film di Sorrentino. Altri l’hanno invece descritto come il film su Maradona, del regista napoletano classe 1970.
Ebbene, ho appena terminato di guardarlo… da solo. E sì, avevo iniziato a vederlo con mia moglie, ma lei dopo mezz’ora ha dato forfait ed è andata in camera a cercare qualcosa da guardare in Tv!
Il film è senz’altro autobiografico. Un racconto tra realtà e credenze, in uno spaccato di vita di Fabietto Schisa (Filippo Scotti nei panni di un giovane Paolo Sorrentino) un adolescente tra famiglia e primi sguardi sul mondo, fino alla tragica morte improvvisa degli amati genitori. Un trauma che lascerà il ragazzo in balia di una scelta per il futuro. Sullo sfondo, l’arrivo di Maradona al Napoli, lo scudetto e il gol con “la mano de Dios” agli odiati rivali inglesi nei mondiali del 1986.
Paolo Sorrentino regista
Che Paolo Sorrentino sia un bravissimo regista, su questo non ci piove. Che abbia sempre una bella fotografia, questo è assodato. Che sappia raccontare, pure… Ma che sappia ancora emozionare, ho dei dubbi. Almeno, a me, non emoziona più da dieci lunghi anni.
Sicuramente al regista Sorrentino non interesserà un granchè della mia opinione, ne tanto meno della vostra, visto che nell’ultima intervista a El Pais, ha dichiarato che l’unico spettatore di cui conta il giudizio, è se stesso.
Il film non è assolutamente brutto, ha qualche momento interessante, ma sono davvero pochi, troppo pochi.
La sua tecnica si è affinata negli anni, ma ha perso, a parer mio, la capacità di entrare dentro lo spettatore (tranne sicuramente se stesso).
Non ho visto ne Youth ne Loro, ma l’ultimo film da lui diretto che mi è piaciuto, è stato This Must Be the Place(2011), con uno straordinario Sean Penn. Un film che fece un bagno di sangue ai botteghini americani, ma che fu un’operazione di marketing per spianare la strada all’Oscar del 2013.
Di E’ stata la mano di Dio, tra qualche settimana non mi rimarrà più nulla, a differenza de
Le conseguenze dell’amore (2004), un film che ho sempre menzionato nei miei corsi di regia, per uno dei colpi di scena migliori della storia del cinema. Un film che inizia lentissimo, una lentezza che ha una logica narrativa, una lentezza che esalterà come non mai, il colpo di scena.
Nel 2008, i primi 5 minuti del film Il Divo, valevano più di tutto Gomorra, il film italiano che gli soffiò la candidatura alla selezione degli Oscar.
Se a distanza di oltre quindici anni, mi ricordo ancora molte scene dei suoi vecchi film, vuol dire che sapeva entrare nell’animo dello spettatore, o almeno nel mio.
Napoli
Per tornare al film E’ stata la mano di Dio, a differenza di quanto letto sui giornali, non ho trovato il racconto di una Napoli, ma più il racconto dei suoi abitanti, questi ultimi a mio parere ben raccontati e sempre molto caratterizzati, una peculiarità che amo e che è anche nelle mie corde professionali.
Ma proprio nel finale del film, l’attore/regista Capuano, dice al giovane Fabietto, chiamandolo Fabio (deve crescere!), che per fare cinema, devi avere qualcosa da raccontare, e Napoli è una grande fonte d’ispirazione. Ma la straordinaria anima di Napoli, non emerge come dovrebbe, anzi.
Fortunatamente per Sorrentino, nel suo viaggio verso Roma e verso il cinema, incontrata “u Monaciello”, una figura leggendaria che gli ha portato davvero tanta fortuna.
Di Maradona poche tracce
L’hanno anche definito il film su Maradona, ma di Maradona solo poche tracce. Mi aspettavo un “viaggio” parallelo tra le due vite, ben strutturato e raccontato, ma nulla di tutto ciò. Maradona è sullo sfondo ed è anche sfocato.
Pensando a questo mancato parallelismo, mi è balzato subito alla mente un altro film “autobiografico”, che viaggiava parallelamente ad altri avvenimenti nella stessa città. E mi riferisco a La mafia uccide solo d’estate di Pierfrancesco Diliberto in arte, Pif.
Ora, senza nulla togliere a Pif, ma tra lui e Sorrentino, c’è un enorme divario artistico e cinematografico. Ma a differenza del Premio Oscar, la vita del protagonista di Pif, realmente ha viaggiato in parallelo con l’altra realtà raccontata, la Mafia. Ma soprattutto, il film di Pif, ha scosso dentro, ha toccato le corde giuste, ha emozionato. Da vedere.
Per chiudere, mi viene in mente un altro film (che vi consiglio), dove la vita del protagonista s’intreccia con quella di un calciatore, sto parlando de Il mio amico Eric. Un bel film di Ken Loach con Éric Cantona. Una pellicola che non ho affatto dimenticato.
Enjoy