La pandemia causata dal Covid 19 e la sua sequela di varianti ha purtroppo messo in luce la fragilità del sistema economico del mondo occidentale e dell’UE in particolare.
La messa a punto della Next Generation UE, e, in Italia, del PNRR, ha rappresentato il più grande sforzo economico dell’Europa dalla fine della seconda guerra mondiale.
Per l’Italia, in modo particolare, rappresenta la più grande opportunità di sempre di modernizzazione del Paese, da troppo tempo fermo, sia sul piano degli investimenti che su quello delle riforme.
Per attuare questo grande Piano, al quale necessita ovviamente in primis una stabilità politica, si è dovuto riconfermare Sergio Mattarella come Presidente della Repubblica e chiamare Mario Draghi come “commissario straordinario” (più che Presidente del Consiglio) per condurre in porto riforme quali ad esempio quella della Giustizia e della Semplificazione amministrativa, per mettersi al passo degli altri paesi europei.
Draghi, pur tra le mille difficoltà per dover gestire una maggioranza di governo quantomai disomogenea, sta tentando, grazie anche alla sua autorevolezza riconosciuta in tutt’Europa, di portare avanti il programma delle riforme e il PNRR, condizionato, quest’ultimo, da tempi di realizzazione stretti e poco flessibili, inusuali per una Nazione abituata all’approssimazione ed al vivere giorno per giorno come la nostra.
Ma il fatto grave ed imprevisto della crisi ucraina rischia di far saltare o quantomeno di dover rivedere al ribasso il Programma di investimenti tanto necessario per l’Italia, al punto da essere considerato l’ultima possibilità concreta per raggiungere un grado di efficienza minima che ci permetta di interloquire alla pari con i nostri partner europei.
La crisi ucraina però, inutile nasconderlo, ci vede tra i più esposti, a causa della politica del non decidere di questi ultimi trent’anni, in cui abbiamo vissuto alla giornata senza porci il problema della necessità dell’autonomia energetica. Siamo il popolo dei no Tav, dei no Vax dei no Gas, dei no al nucleare, insomma abbiamo fatto la politica corta dei no tutto, pur essendo una Nazione quasi del tutto priva di risorse naturali. Insomma, siamo andati avanti per anni come il Paese del bengodi che pretende di essere mantenuto dagli altri, che devono invece pensare a mantenerci se vogliono godere della nostra esistenza.
Per contro l’aumento dei costi primari dovuto alla crisi Ucraina riduce la possibilità di realizzare la quantità di opere programmate, a meno di prevedere ulteriori finanziamenti, che richiederanno anche un incremento del debito pubblico. Una revisione delle politiche e delle risorse è dunque sempre più probabile, per fronteggiare la crisi determinata dalla dipendenza energetica dalla Russia, mentre la necessità di diversificare le fonti energetiche ci coglie, come al solito, di sorpresa.
Le alternative
Urge un piano di ricerca ed innovazione per sfruttare vettori energetici alternativi come l’idrogeno, impianti per energie rinnovabili, gassificatori e perché no, rivedere i nostri tabù sull’uso del nucleare.
E per fare questo è indispensabile una campagna massiccia di semplificazioni che comporti una notevole riduzione dei tempi dei procedimenti, perché con le pallide semplificazioni programmate temo non si vada da nessuna parte.
L’auspicabile accelerazione non sembra, tuttavia, realizzabile nel sistema attuale. Troppe le autorità locali coinvolte. Occorre riportare al governo centrale competenze in settori strategici come quello dell’energia.
In fondo si dice che non tutti i mali vengono per nuocere.
Speriamo bene.