Italiani detenuti in Venezuela, il gioco di squadra dovrebbe essere la norma
Paradossale la polemica che si è innescata dopo la liberazione di Antonio Calvino e Giovanni Mattia, arrestati oltre due anni fa di fronte al Consolato italiano a Caracas (Venezuela) senza alcuna motivazione plausibile. L’intervento di Andrea Di Giuseppe, deputato eletto nella circoscrizione America settentrionale e centrale, ha scatenato personalismi francamente incomprensibili. Quando si parla della salvezza dei nostri connazionali all’estero nessuno si può girare dall’altra parte a prescindere dall’ ”appartenenza territoriale”.
Considerando gli oltre due anni di detenzione “preventiva” a cui sono stati costretti Calvino e Mattia (a partire dall’aprile del 2021), ben venga che si sia attivato anche il deputato di Fratelli d’Italia, aumentando la pressione sulle autorità di Caracas.
Il rischio è che si faccia un uso strumentale delle parole, sia di quelle del rappresentante degli italiani residenti in America settentrionale e centrale sia degli stessi connazionali tornati in libertà. Uno dei due, infatti, ha dichiarato subito dopo la scarcerazione: “a Dio quello che è di Dio e a Cesare quello che è di Cesare. La nostra liberazione è arrivata grazie soprattutto all’impegno messo in campo dall’Ingegnere Antonio Iachini, membro del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero” e coordinatore MAIE per il Venezuela e i Paesi andini”.
Giusto rendere il dovuto tributo a chi si è speso per due italiani in difficoltà. Pretestuoso al contrario dipingere l’intervento dell’onorevole Di Giuseppe come un’intromissione in un’area geografica non di sua competenza. Le “pressioni” citate dal deputato di Fratelli d’Italia nel comunicato stampa coevo alla liberazione di Calvino e Mattia evidenziano semmai il gioco di squadra che dovrebbe sempre innescarsi per tutelare i nostri concittadini sparsi nel mondo.
Il “pensi ai fatti suoi” non è una buona politica
Guardare il dito e non la luna è un’espressione che calza a pennello con le polemiche di questi giorni. Franco Tirelli, deputato del MAIE eletto nella circoscrizione del Sud America, ha attaccato pesantemente il collega: “Evidentemente – ha commentato Tirelli – l’On. Di Giuseppe è a corto di idee e iniziative nella sua ripartizione estera, quella del Nord e Centro America, e si è messo a spacciare lucciole per lanterne sul proprio impegno in America Meridionale. Ma che ci azzecca? Sia gentile, Di Giuseppe: si occupi dei tanti problemi che interessano i nostri connazionali negli Usa, in Canada e in Centro America”.
Non si è fatta attendere la risposta del deputato Di Giuseppe, unico parlamentare di Fratelli d’Italia eletto all’estero: “ Mi occuperei solo degli italiani della circoscrizione in cui sono stato eletto se gli altri colleghi facessero il loro lavoro- ha dichiarato. Sarebbe interessante sapere perché i nostri due connazionali sono stati lasciati a marcire per oltre due anni in un carcere venezuelano dove i diritti umani sono ignorati e solo dopo le mie pressioni scarcerati. Non sono abituato ad intestarmi medaglie- ha concluso- lavoro in silenzio per i nostri connazionali, chi invece intende farlo lo fa a proprio rischio, ho prove per mostrare quello che dico.”
Il paradosso
A prescindere dalle rispettive fedi politiche l’appartenenza esclusiva territoriale non risulta convincente, perché i deputati rappresentano il popolo italiano nella sua totalità. Facendo un esempio sul territorio nazionale, un politico eletto in Parlamento in una circoscrizione delle Marche non è certo esente dall’occuparsi dei problemi della Sardegna, della Valle d’Aosta e, nemmeno, di quelli degli italiani all’estero. Viste inoltre le molteplici connessioni tra la Florida, Stato dove risiede Di Giuseppe, e il Venezuela, non è certo un abominio che questi si sia mosso per contribuire alla liberazione dei due italiani. Molti dubbi permangono, invece, sull’atteggiamento tenuto in quel fatidico aprile 2021 dalla nostra rappresentanza consolare a Caracas.
Gli italiani fatti arrestare dallo stesso Consolato?
Torniamo infatti alla primavera di due anni fa. Proprio Di Giuseppe ha ricostruito in una recente intervista a Il Tempo quanto accaduto ai nostri connazionali a Caracas. I due italiani, malati, stavano manifestando di fronte al Consolato italiano, sia pur animatamente, per chiedere di ricevere assistenza sanitaria. Ciò fino all’arrivo della polizia venezuelana, che ha ammanettato e dato inizio a due anni e quattro mesi da incubo per Calvino e Mattia. “Quando sono venuto a sapere di questa assurda vicenda – ha dichiarato proprio l’onorevole Di Giuseppe – ho chiesto subito al Consolato il video della protesta e quello dell’arresto ma, guarda caso, quei filmati non c’erano. C’era solo il racconto del consolato, in cui si diceva che i due avessero provato ad assaltare l’edificio. Io poi però questi filmati li ho trovati lo stesso, e si vede bene come, al di là di una protesta energica, Antonio e Giovanni non avessero commesso nessun gesto tale da meritare oltre due anni di prigione”.
“Non tutti sanno – ha proseguito Di Giuseppe – che la Farnesina stanzia dei soldi per i nostri consolati in giro per il mondo, soldi destinati a fornire cibo e medicine per i connazionali in difficoltà; ebbene, se Antonio e Giovanni erano lì a protestare, mi viene da pensare che evidentemente questi soldi erano stati spesi per altre cose”. Ma il sospetto più grande, se fosse confermato, getterebbe un’ombra davvero inquietante su quanto accaduto due anni fa: “Poco dopo ho capito che a chiamare la polizia era stato il consolato stesso: una cosa che per me ha davvero dell’incredibile”.
Lo scandalo dei visti
La vicenda degli italiani arrestati in Venezuela, come abbiamo già detto, sortisce stupore in ognuno di noi di buon senso stupore, perché se valesse il principio dell’impegno politico circoscritto al proprio territorio, il deputato di Giuseppe avrebbe dovuto “farsi i fatti suoi” quando è venuto a conoscenza dello scandalo dei visti falsi che coinvolge alcune ambasciate italiane all’estero. Invece se ne è occupato, mettendosi in prima linea con una denuncia alla Guardia di Finanza, che con lavoro certosino ha scoperto il vaso di Pandora (qui mettiamo il link del nostro servizio).
A tal proposito ricordiamo che il lavoro ispettivo, voluto dal Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, Antonio Tajani, nelle ambasciate in Sri Lanka, Bangladesh e Pakistan per verificare le procedure applicate nel rilascio di visti di ingresso per l’Italia, si è concluso l’8 agosto. I primi riscontri del lavoro degli ispettori ministeriali fanno emergere, come spiegato dalla Farnesina in una nota, un contesto ambientale estremamente difficile, anche a causa dell’elevato numero di documenti falsi che quotidianamente vengono presentati a tutte le ambasciate dei Paesi Schengen per ottenere l’ingresso in Europa.