Tutto come prima. Trump – leader indiscusso e discutibile, perdente e vincente, sfidante e sfidato, accusato e accusatore – si riprende la scena della politica americana e internazionale scegliendo l’appuntamento annuale della Conservative Political Action Conference per il suo primo discorso pubblico, dopo aver lasciato la casa Bianca.
La convention dei conservatori – organizzata nella città di Orlando in Florida – è stata una delle vetrine più in vista per il suo ritorno, avvenuto tra standing ovation e il tipico folklore americano.
L’ex inquilino della Casa Bianca ha parlato per novanta minuti con attachi al governo Biden e alle sue politiche assistenzialiste e poi il refrain delle elezioni rubate. Applausi a scena aperta e una strada spianata dal dibattito dei due giorni precedenti in cui i partecipanti hanno fortemente sostenuto l’ex Presidente degli Stati Uniti e il suo “Make America Great Again”.
Per i repubblicani questa è stata però anche la prima occasione utile per la resa dei conti, dopo quanto accaduto al Senato durante il dibattito sull’impeachment a Trump, accusato di aver fomentato l’invasione di Capitol Hill il 6 gennaio scorso.
Trump è stato assolto ma 7 senatori repubblicani votarono a favore della messa in stato d’accusa dell’oramai ex Comandante in Capo. E se i panni sporchi si lavano in famiglia, in questo caso sono stati stracciati ancora prima di lavarli; difatti gli organizzatori della conferenza non hanno invitato nessuno dei membri repubblicani del Congresso che votarono a favore del secondo impeachment dell’ex Presidente. Una sorta di epurazione, necessaria perché voluta fortemente dalla base che non ha perdonato il tradimento.
Dopo i quattro anni di amministrazione Trump, sapevamo tutti che nulla sarebbe tornato come prima e il fuoco che covava sotto la cenere è stato ravvivato dall’appuntamento annuale della CPAC, il meeting che ha riacceso il dibattito non solo nella sala dell’Hilton di Orlando ma in tutto il Paese.
È bastata la presenza fisica del tycoon per risvegliare i ricordi di una campagna elettorale fatta di scontri e colpi bassi scagliati da entrambe le parti politiche, cosi come l’assalto al Campidoglio da parte di un gruppo di manifestanti pro Trump.
L’ex presidente è stato assolto dal processo di impeachment ma nessuno si è acquietato, non i repubblicani che non abbandonano la tesi delle elezioni rubate, non i democratici che aspiravano a tenerlo lontano dalla vita politica del paese e da ogni carica politica pubblica.
Ma perché Trump fa paura?
Trump probabilmente fa paura perché, nonostante tutto, al termine della convention il 59% dei presenti ha dichiarato in un sondaggio che lo vuole ancora leader, mentre il 54% afferma che lo voterebbe comunque se si candidasse nel 2024.
Percentuali che in parte riflettono il consenso degli americani e che hanno spronato l’ex presidente ad annunciare il suo ritorno nella corsa alla Casa Bianca del 2024.
Sarà questa la paura? Personalmente penso di si, perché questa è una paura trasversale che assale tantissime persone di destra e sinistra, che hanno vissuto da vicino le proteste anti Trump con città devastate da gruppi di violenti .
E la paura fa chiedere: con una eventuale rielezione di Trump le città americane sarebbero di nuovo sotto attacco? Ci ritroveremmo di nuovo sotto casa i manifestanti del movimento Black Lives Matter con i cartelli “not my President”. Una storia già vista. Una brutta storia che a noi cittadini pacifici spaventa molto.
Midterm election
Con la convitino diOrlando ricomincia la campagna elettorale dei repubblicani – a dire il vero non si è mai fermata – con l’obiettivo di riprendersi il controllo del Senato tra due anni, quando ci sarà il primo giro di boa della politica americana con le elezioni di midterm.
Nel 2022 gli americani saranno chiamati alle urne per eleggere i 435 membri della Camera bassa e un terzo dei senatori. Sarà il primo test per l’amministrazione Biden che ha indirizzato gli Stati Uniti verso una nuova politica interna ed internazionale e sarà la prima occasione per i repubblicani di verificare la percentuale dei “We miss Trump”.
Ma due anni potrebbe essere anche il tempo necessario per una oscillazione completa del quadro politico con i papabili in corsa per le primarie, un nome per tutti il governatore della Florida Ron DeSantis