Sempre meno giovani occupati: l’allarme del Censis
In dieci anni (2012-2022) gli occupati nella fascia 15-34 anni sono calati del 7,6%, mentre quelli dai 35 ai 49 anni, del 14,8%. Al contrario i lavoratori nella fascia 50-64 e gli over 65 sono aumentati rispettivamente del 40,8% e di quasi il 69%. Lo svela il 6° rapporto Censis-Eudaimon sul welfare aziendale (realizzato in collaborazione con Credem, Edison e Michelin). Molte le cause per una simile performance negativa: dall’invecchiamento generale della popolazione italiana alle scarse possibilità d’ingresso nel mondo del lavoro. Un quadro a tinte fosche, che purtroppo denuncia un pesante inverno demografico destinato a impattare inevitabilmente sul sistema Paese nel suo complesso.
I giovani e il lavoro: tra fenomeni macroeconomici e sofferenze individuali
In Italia è celebre l’adagio per cui la prima generazione crea, la seconda amplia e la terza distrugge. In questo caso però a essere distrutte sono le aspettative di vita e i sogni di molti nostri giovani connazionali. Essi hanno come possibili strade soltanto la disoccupazione (dovendo rimanere sulle spalle di genitori e parenti), il precariato a vita o l’emigrazione. Si parla spesso di fuga di cervelli e della necessità del loro rientro. È inevitabile però che i giovani emigrati dall’Italia preferiscano continuare la propria vita in un Paese che ne ha permesso la realizzazione o, quantomeno, uno standard di vita più dignitoso di quello che gli sarebbe toccato in Patria (o che li attenderebbe nuovamente al proprio rientro).
Contro l’Italia la tempesta perfetta
Purtroppo contro il Belpaese dalla crisi dei debiti sovrani nel 2011 si è scatenata una tempesta perfetta. La pandemia e il conflitto in Europa orientale non hanno certamente aiutato ma alcune cause strutturali prescindono anche da questi avvenimenti, pur così dannosi. L’adeguamento alla moneta unica ha infatti portato alla formazione di prezzi sproporzionati rispetto agli stipendi odierni. L’Italia si trova dunque con prezzi da primissimo mondo, senza che i salari siano stati adeguati a tali cambiamenti. Lo ha visto di recente la Croazia, dove il costo della vita si è impennato in pochissimo tempo, pur presentando lo Stato adriatico caratteristiche economiche diverse dalle nostre.
Dovendo competere con Stati membri molto più attrezzati (a cominciare dagli stringenti vincoli di bilancio che penalizzano, e molto, il nostro Paese) siamo arrivati alla deindustrializzazione attuale, con la conseguente disoccupazione e precarizzazione della vita. Senza intervenire su questi temi (e su quello della natalità) parlare di sostengo alle giovani generazioni rappresenta solamente una dichiarazione d’intenti e non un impegno effettivo. Continuare sulla strada attuale significa avvicinarci progressivamente al collasso del sistema. La speranza è che il governo possa invertire la rotta con riforme efficaci e veramente strutturali senza attendere, come fatto in passato, che l’Italia assista immobile all’invecchiamento della propria popolazione. Si rischia infatti da qui a qualche decennio il dimezzamento degli italiani: un’eventualità catastrofica da impedire con tutti i mezzi.