La Guardia di Finanza ha eseguito, su richiesta della Procura di Milano, il sequestro record nei confronti della società che opera nel campo degli affitti brevi (Airbnb Ireland Unlimited Company). Coinvolti anche formalmente tre dirigenti che hanno rivestito cariche di amministrazione all’interno dell’azienda negli anni dal 2017 al 2021.
La contestazione è quella di non aver versato la cosiddetta «cedolare secca» sui canoni di locazione breve in quel periodo temporale.
Le prime avvisaglie ci sono state già il 24 ottobre scorso con il deposito delle motivazioni della sentenza 9188/2023, con la quale la IV quarta sezione del Consiglio di Stato aveva stabilito l’obbligo per Airbnb di riscuotere e versare all’Erario la ritenuta sugli affitti brevi.
Una vicenda non nuova che dura da ben sei anni, durante i quali la piattaforma Airbnb si è appigliata ad ogni cavillo pur di non versare quanto richiesto dal fisco italiano. Già qualche tempo fa fu rigettato dal Tar del Lazio un ricorso della società che contestava la richiesta del fisco. Il regime fiscale italiano per le locazioni brevi prevede infatti l’obbligo per società come Airbnb di operare una ritenuta del 21% sull’ammontare dei canoni e dei corrispettivi all’atto del pagamento degli affitti, da versare poi al Fisco, operando dunque da sostituto di imposta.
La normativa prevede infatti che chi svolge attività di intermediazione immobiliare o gestisce portali, se residente in Italia o ivi avente una stabile organizzazione, deve operare come sostituto d’imposta. Se non risiede in Italia deve obbligatoriamente nominare un rappresentante fiscale per adempiere agli obblighi previsti dall’ordinamento del paese in cui opera. Il ricorso di Airbnb lamentava profili di incompatibilità della normativa con i principi del diritto europeo.
L’ipotesi di reato nei confronti del portale è dunque di evasione fiscale per omessa dichiarazione dei redditi tra il 2017 e il 2021 che ha giustificato il sequestro preventivo a fini di confisca di 779 milioni e 453.000 euro a carico appunto della società di diritto irlandese Airbnb Ireland Unlimited Company.
La tesi accusatoria è dunque che Airbnb si sia sottratta alla dichiarazione e al versamento (in qualità di sostituto d’imposta) della cedolare secca sui canoni di locazione breve corrisposti in quei cinque anni dagli ospiti delle strutture ricettive pubblicizzate dal portale. Canoni stimati complessivamente in circa 3,7 miliardi di euro.
Airbnb ha ovviamente incaricato i propri legali di difendersi di fronte a tali accuse. La tesi che i difensori probabilmente sosterranno è che i proprietari degli immobili (i cosiddetti host) hanno caratteristiche che non li fanno considerare “privati” ma che li avvicinano alla figura di ”imprenditori”, ai quali non si applicherebbero queste norme.
In merito a questa vicenda, l’azienda ha pubblicato la seguente nota: “Airbnb Ireland ha in corso una discussione con l’Agenzia delle entrate dal giugno 2023 per risolvere questa questione. Siamo sorpresi e amareggiati dall’azione annunciata dal Procuratore della Repubblica lunedì. Siamo fiduciosi di aver agito nel pieno rispetto della legge e intendiamo esercitare i nostri diritti in merito alla vicenda».