Cinque anni fa il primo paziente Covid in Italia
Oltre 197mila vite perse. È il bilancio della pandemia di Covid-19 nel nostro Paese. Era il 20 febbraio 2020 quando il risultato del tampone effettuato su Mattia Maestri, divenuto poi il “paziente 1”, confermò l’arrivo del virus a Codogno. Il Covid era uscito dalla Cina per entrare dalla porta principale in Italia, pronto a sconvolgere il mondo intero. Da quel momento, mesi di dolore e sfide si sono susseguiti, trasformando la vita quotidiana degli italiani e rivelando la vulnerabilità del sistema sanitario nazionale.
A cinque anni dall’inizio della pandemia, sebbene il piano pandemico sia stato aggiornato, persiste un problema cruciale: il reperimento dei fondi necessari per garantire una risposta efficace alle future emergenze sanitarie.
Le date simbolo dell’emergenza
Il 29 gennaio 2020 è una data simbolo della pandemia: una coppia di turisti cinesi a Roma, provenienti dalla provincia di Wuhan, mostrò i primi sintomi influenzali. Il tampone effettuato all’Ospedale Spallanzani confermò la loro infezione da coronavirus, preannunciando ciò che sarebbe successo nei mesi successivi.
L’11 marzo 2020, l’Organizzazione mondiale della sanità dichiarava ufficialmente l’inizio della pandemia, con ripercussioni devastanti che avrebbero interessato ogni aspetto della vita. Solo il 5 maggio 2023, dopo tre anni di lotta, l’Oms ha annunciato la fine dell’emergenza sanitaria legata al Covid-19. Dai dati forniti dal ministero della Salute, emerge un quadro allarmante in cui risultano 27.191.249 casi totali, 513.845 tra gli operatori sanitari, con un’età media dei pazienti pari a 45 anni.
Un virus ormai noto ma da monitorare
Nonostante l’emergenza sia ormai superata, gli esperti dell’Istituto superiore di sanità (Iss) avvertono che non bisogna abbassare la guardia.
Anna Teresa Palamara, direttrice del Dipartimento Malattie infettive dell’Iss, sottolinea come il virus SarsCov2 sia ormai parte di un mix di patogeni respiratori, simile all’influenza stagionale. Sebbene non rappresenti più un’emergenza, il suo monitoraggio resta cruciale. La sorveglianza, attraverso la rete RespiVirNet, permette di stimare l’incidenza del virus e di tenere traccia delle varianti circolanti, garantendo un approccio scientifico e sistematico alla salute pubblica.
Il piano pandemico rinnovato
Negli ultimi anni, la vaccinazione anti-Covid si è dimostrata un’arma efficace nella lotta contro il virus. Il nuovo Piano pandemia, valido fino al 2028, include strategie dettagliate e misure smontate dal precedente, ormai obsoleto. Con 218 pagine di linee guida, il piano affronta le sfide di una nuova emergenza, proponendo protocolli di risposta che vanno ben oltre le semplici restrizioni.
Le misure delineate devono basarsi sui principi di precauzione, responsabilità, proporzionalità e ragionevolezza. Il piano sottolinea che eventuali restrizioni alla libertà individuale devono rimanere temporanee e necessarie, escludendo così decreti del presidente del Consiglio in favore di provvedimenti legislativi di emergenza.
Nel caso di un’epidemia eccezionale, si legge, sarà prevista la chiusura di attività lavorative non essenziali, la sospensione delle lezioni scolastiche e l’adozione di misure come il distanziamento fisico e l’uso di mascherine. Il piano enfatizza che nessuna misura di coercizione può essere adottata senza il rigoroso rispetto dei principi costituzionali, proteggendo così i diritti civili e sociali dei cittadini.
L’importanza della vaccinazione contro il Covid
I vaccini rappresentano una strategia preventiva fondamentale, secondo il Piano pandemico. Tuttavia, non sono considerati l’unico strumento di contrasto. È previsto un potenziamento degli operatori sanitari e dei laboratori virologici, nonostante la realtà complessa della carenza di personale nel settore. Per affrontare queste criticità, il governo ha pianificato un incremento progressivo dei fondi, prevedendo un investimento che raggiungerà i 300 milioni entro il 2027.
L’impatto psicologico della pandemia
Accanto alle importanti riflessioni mediche sulla pandemia da COVID-19, è fondamentale esaminare anche gli aspetti psicologici che hanno colpito sia la popolazione pediatrica che quella adulta. Numerosi sono gli studi, sia nazionali che internazionali, che hanno messo in evidenza le conseguenze psicologiche del virus.
Nei bambini, i segnali di disagio si sono palesati attraverso una maggiore irritabilità, disturbi del sonno e ansia. Molti giovani hanno riportato sensazioni di mancanza d’aria e alterazioni nel ritmo sonno-veglia, con un incremento preoccupante dei disturbi alimentari, prevalentemente nella fascia adolescenziale. Il lockdown e la chiusura delle scuole hanno stravolto le loro abitudini, privandoli della didattica in presenza e delle interazioni sociali con coetanei e insegnanti.
Il Covid ha avuto un impatto anche sulla qualità della vita degli adulti, aggravata dallo stress provocato dal lockdown e dalle restrizioni sanitarie. L’Organizzazione Mondiale della Sanità ha evidenziato questa forma di stress, definita “pandemic fatigue”, caratterizzata da demotivazione nel seguire le misure preventive e nell’accettare i divieti sociali.
La pandemic fatigue ha portato a uno stato di stress cronico compromettendo sia il sistema immunitario che il benessere mentale. Il supporto psicologico si è reso quantomai necessario nel periodo della pandemia, diventando un alleato prezioso per affrontare le conseguenze delle restrizioni.
La segregazione prolungata non è naturale per l’essere umano. Come ci ricorda Aristotele, l’uomo è un “animale sociale”, incapace di vivere senza interazioni con gli altri. L’isolamento impedisce lo sviluppo dell’identità e l’esercizio della ragione. L’isolamento prolungato ha compromesso la salute, alterando i ritmi di sonno e alimentazione e limitando le opportunità di movimento. Sono stati minati i canali naturali di espressione e piacere, con un conseguente abbassamento dell’umore. L’isolamento sociale prolungato ha portato a una solitudine profonda per chi viveva da solo o non aveva una rete sociale sufficientemente solida, aumentando il rischio di sviluppare sintomi depressivi.
Tutti fattori che, dopo 5 anni, continuano a far sentire i loro effetti.