Nella serie di concerti che ha regalato a Boston,Bob Dylan ci presenta se stesso nella maniera più riflessiva e frizzante mai collocata su un palco. Una carrellata di successi vecchi e nuovi che raccontano di vita e di morte, per capire come spendiamo il nostro tempo.
Bob Dylan ha compiuto 82 anni ed a differenza di Mick Jagger che ne ha un paio di meno e ne dimostra ancora molti di meno, Dylan li dimostra tutti, in un mondo come quello della musica dove avere un’età è un peccato mortale.
Lui non vuole essere giovane o sembrare giovane. Venerdì sera all’Orpheum Theatre di Boston Dylan ha iniziato cantando: “Questo vecchio fiume continua a scorrere, però/Non importa cosa si frappone e in che direzione soffia il vento/ E finché ciò accadrà, mi limiterò a sedermi qui e guardare il fiume che scorre.”
Cogliendo a caso dal suo ultimo album “Rough and Rowdy Ways“, Dylan ha riempito il suo palcoscenico con tante canzoni sulla vita e sulla morte, e su poeti beat, su cavalieri neri e bluesmen morti mezzo secolo fa, mostri resuscitati, Anne Frank, Indiana Jones e un vita trascorsa ad attraversare il Rubicone. Quindi ha collocato quelle meditazioni accanto ai classici finemente curati e completamente reinventati del suo catalogo. Naturalmente nulla di cupo e misterioso, piuttosto riflessioni e ragionamenti sulla maniera con cui spendiamo, e sprechiamo, il nostro tempo.
Dylan si trasforma facilmente in un pianista d’assalto ed assieme ai componenti della sua band, cinque gagliardi professionisti, fa ripercorrere decenni di swing e di boogie trasportando indietro ed avanti nel tempo i suoi intramontabili successi.
Ha dato spazio per esempio ad una strepitosa “Gotta Serve Somebody” lasciando che i chitarristi si scatenassero in stile rockabilly. Ha suonato “I’ll Be Your Baby Tonight” che è costruita su una jam intricata da collocare in qualche posto esattamente tra gli Allman Brothers e il re del jump blues Louis Jordan. Quando nn spingeva a tutta forza sul palco è tornato il cantore lento di sempre proponendo brani come “Crossing the Rubicon” e “I Contain Multitudes” che avanzano lentamente insieme all’energia che trasmettono. Poi è diventato addirittura tenero con una lettura riverente e intima di “Brokedown Palace”. Ha trasformato “Ho deciso di donarmi a te” in una lettera d’amore ai suoi fan, un riconoscimento delle vite trascorse in comunione con l’artista e il pubblico. Ha considerato con delicatezza le sue costanti ispirazioni, la consueta carrellata di poeti del vecchio mondo, cantautori di ballate popolari classiche, bardi itineranti, tutta pennellata su “Mother of Muses”.
In un’epoca in cui così tanti cantautori lottano o hanno rinunciato alla meditazione sulla mortalità, Dylan rimane una bandiera. In un settore che non sa cosa fare con gli artisti che non hanno 25 anni o che non possono giocare a diventare 25enni per il pubblico degli stadi, Dylan resta una bandiera mentre il suo vecchio fiume continua a scorrere